Il primo anno di Meloni scatena a sinistra il festival delle bufale

Nemmeno il più feroce dei critici, dopo un anno di governo, avrebbe potuto descrivere una realtà più disastrosa

Il primo anno di Meloni scatena a sinistra il festival delle bufale
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Nemmeno il più feroce dei critici, dopo un anno di governo, avrebbe potuto descrivere una realtà più disastrosa. L'opposizione politica e giornalistica non si limita a fare le pulci a Giorgia Meloni, ma afferra la penna in mano per narrare uno scenario distopico. Un 2023 che assomiglia al 1984 di George Orwell. Poco meno delle sette piaghe dell'Apocalisse. All'Italia del centrodestra manca soltanto l'invasione delle cavallette. Almeno stando a sentire i commenti della stampa progressista e dei leader del centrosinistra. Un anno di governo. Cent'anni di solitudine. Mentre la premier Meloni si prepara a tagliare il traguardo dei dodici mesi a Palazzo Chigi e rinvia di una settimana la kermesse «Un anno di risultati» causa lutto per Giorgio Napolitano, La Repubblica sfodera un longform da brividi. E viene da chiedersi se davvero sia statisticamente possibile che l'esecutivo non ne abbia imbroccata manco mezza in quasi 365 giorni alla guida del Paese. È tutto un racconto horror su Meloni e la sua maggioranza. Una presidente del Consiglio che conserva il fez nel cassetto, negazionista, autoritaria e rinchiusa in un cerchio magico familista e autoreferenziale.

Il tutto in sette pagine listate di nero. Non si sa per esprimere cordoglio per un'Italia manganellata dai sovranisti al potere oppure per sottolineare il fantasioso legame tra Fratelli d'Italia e il Ventennio. Un grande classico. Rispolverato nel commento di Stefano Cappellini, che accusa la premier di riscrivere la storia «per nascondere il fascismo». Eccolo, il richiamo della foresta per giustificare il titolo dello speciale di Repubblica: «L'anno nero dell'Italia». A caratteri cubitali. Con tanto di mega fotografia di Meloni con le mani sul viso. Il repertorio c'è tutto. Così come il ritorno delle grandi firme della stagione antiberlusconiana. Non può mancare Michele Serra, che va oltre i suoi colleghi e verga un pezzo intitolato così: «Smettiamo di chiamarla destra. È molto peggio». Serra pur di attaccare Meloni elogia il Giuseppe Prezzolini del Manifesto dei Conservatori. E sembra quasi un invito al Pd a smetterla di insistere con il cigno nero delle «destre». «È molto peggio».

Poi c'è Ezio Mauro, un altro campione dell'antiberlusconismo, che varia sul tema del fascismo. Meloni è sì «Underdog», ma è «rimasta prigioniera del passato». Chiusa, «circondata di profughi dell'avventura missina». Peccato che la maggioranza dei dirigenti di Fdi si sia formata dopo la fine del Msi. Non va bene nulla, nemmeno «il linguaggio del corpo di una mamma al comando». Sulla giustizia il governo «è garantista solo con i forti». E qui riecheggia la critica della segretaria dem Schlein. Che qualche giorno fa ha sentenziato: «Dopo un anno Meloni è tornata con qualche reato ideologico e nessun risultato da rivendicare, tranne il rave party».

Giuseppe Conte invece si è concentrato sul sociale. Tra «schiaffi ai poveri» senza Reddito di Cittadinanza, «benzina alle stelle, carovita e immigrazione fuori controllo». Mancano solo le dirette a reti unificate da Palazzo Chigi all'ora di cena. Mentre sempre La Repubblica schiera Natalia Aspesi per esplorare ancora il filone narrativo del «partito dei cognati».

La Stampa invece accusa Meloni di recitare a soggetto: «Underdog, Cenerentola, paladina». Istrionica, «come il Duce». Marco Travaglio tratteggia un'Italia del tutto simile a Gotham City. Una Suburra in cui regnano «Impunità, povertà, armi». Lo dice la fantascienza.

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