Aridea Fezzi Price
da Londra
Doveva far dimenticare la scorsa disastrosa stagione allOld Vic, il suo teatro adottivo, bollata dalla chiusura dopo solo un mese di repliche della sfortunata produzione diretta da Robert Altman di Resurrection Blues, lultima lavoro di Arthur Miller. Ed è finalmente un gran successo per lattore che stanco del cinema da qualche anno si è intestardito di sfondare sulla scena di Londra come actor manager del più prestigioso teatro della capitale. Già molto applaudito un anno fa per la sua magnifica interpretazione del Riccardo II shakespeariano, Kevin Spacey ritorna in questi giorni al teatro americano e a Eugene ONeill, un autore che conosce bene per averne felicemente visitato il Lungo viaggio verso la notte a Broadway e Viene luomo del ghiaccio proprio a Londra.
Ritorna al personaggio di Jim Tyrone, il più genuinamente americano dei personaggi di ONeill, questa volta nellultima pièce del drammaturgo, A Moon for the Misbegotten («Una luna per i bastardi» in italiano) disperato canto di redenzione che trascende il melodramma autobiografico di ONeill. Scritta nel 1943 come seguito del Lungo viaggio e per attutirne la furia, la pièce ebbe fortuna solo trentanni dopo grazie alla leggendaria produzione diretta da José Quintero a New York. Sotto la vernice comica di un intrigo banale, Moon è una lunga catartica confessione che invoca e riceve il perdono nellamore disinteressato di una donna che incarna tutti gli opposti apparentemente inconciliabili dei tre protagonisti. Un lavoro che ha un fascino tutto particolare, non diverso dalla seduzione esercitata della tragedia classica, più incisivo del Lutto si addice ad Elettra scritto dieci anni prima. Per la regia di Howard Davies, il più grande interprete inglese dellopera di ONeill, con la bravissima Eve Best in Josie e Colm Meany nel padre Phil Logan, A Moon for the Misbegotten resterà in scena allOld Vic almeno fino a Natale.
Questa volta Kevin Spacey ha messo insieme una produzione straordinariamente fortunata, rispettando le note di scena dellautore, Phil Hogan è un uomo del vecchio mondo, capace di compassione quando lastro della notte brilla della luce giusta, mentre Josie è la donna che incarna due versioni del femminino, dura e volgare e al tempo stesso casta e tenera, piena di compassione e di amore («una donna oltremisura - scriveva ONeill - con lunghe braccia levigate e forti, come le gambe, che però non mostrino i muscoli«). Ma è lui, Jim Tyrone, a dibattersi sotto i raggi della luna, lattore disperato che lentamente si uccide con lalcol, che ricalca i tratti del fratello minore dellautore, che mette a nudo i suoi sensi di colpa e la sua agonia più intima, nella superba e sconvolgente interpretazione di Spacey. Un uomo che si nasconde dietro una maschera di cinismo in un modo sottile e profondo, un uomo sensibile che affoga sofferenza e rimorsi nellalcol e nel disgusto di sè. «Quando avveleno la gente, la gente resta avvelenata», dice.
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