Gritti, il bastardo che voleva essere Re

Questa è la vicenda narrata da Pieralvise Zorzi in Il serenissimo bastardo. Il figlio del doge che volle farsi re

Gritti, il bastardo che voleva essere Re
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Si chiamava Alvise Gritti, ma per i turchi era Beyoglü, il figlio del principe, o il serenissimo bastardo, visto che era il figlio illegittimo del doge di Venezia, Andrea Gritti. Di certo era ambizioso e si era ritagliato un ruolo di primo piano all'ombra della Sublime porta. Nato a Costantinopoli, città in cui era tornato perché a Venezia per gli illegittimi molte porte erano irrimediabilmente chiuse, anche a disporre di un padre potentissimo, si era aperto la via a colpi di commercio e feste meravigliose. Era diventato intimo del Gran Visir Pargali Ibrahim Pasha, un greco nato nella cittadina di Parga allora appartenente a Venezia, e poi del sultano Solimano il Magnifico, diventando così il terzo uomo più potente dell'Impero ottomano.

Ma per Alvise non era abbastanza, voleva un regno suo, puntò le sue carte sul regno d'Ungheria piantato dritto sulla rotta di espansione dell'Impero turco. Il tutto muovendosi con un sottile doppio gioco che intesseva gli interessi veneziani con quelli di Costantinopoli. I Balcani però sono un contesto complicato da sempre. Nel Cinquecento voivodi e monarchi, tra cui Giovanni Zápolya a cui il sultano affida l'Ungheria con Gritti come consigliere, cadevano con sorprendente rapidità e spesso perdevano il loro potere in fatti di sangue di rara ferocia. Dopo una serie di azzardi e inganni astuti, Gritti infilò la mossa sbagliata. Nel 1534 si recò alla testa di un esercito ottomano in Valacchia e poi in Transilvania. Ma attorno a lui ruotavano ormai troppi rancori e tradimenti. A Costantinopoli erano cambiati gli equilibri e il sultano aveva altro da sbrigare in Persia. Quando, in una situazione sempre più tesa, uno dei nobili al seguito di Alvise uccise per rancore personale il Vescovo di Varadino Emerico Czibak, la situazione precipitò. Gli si rivoltarono contro molti ex amici, venne braccato da un esercito enorme e disponeva solo di duemila uomini. Fu costretto a cercare rifugio nel borgo fortificato di Medgyes (attuale Romania), dove venne assediato dalle truppe di Stefano Maylád, aiutate da un contingente inviato dal signore di Moldavia Petru Rares. Alla fine lo assaltarono e ogni resistenza venne piegata.

Il 28 settembre 1534 viene giustiziato e il suo corpo straziato. A portare la notizia a Venezia fu Francesco della Valle, fedele servitore che assiste al crollo di un Doge imperturbabile, che si scopre padre addolorato e fragile.

Questa è la vicenda narrata da Pieralvise Zorzi in Il serenissimo bastardo. Il figlio del doge che volle farsi re (Neri Pozza, pagg. 206, euro 20). Zorzi, che ha già regalato al lettore due bei titoli su Venezia - Storia spregiudicata di Venezia e A Venezia lucean le stelle - in questo caso fa rivivere un personaggio quasi dimenticato, al giorno d'oggi, che, però, è stato un grande protagonista della politica cinquecentesca, quasi un Cesare Borgia in salsa adriatico-mediorientale.

Un uomo che seppe fare da ponte tra Oriente e Occidente e poi crollò miseramente, forse accecato dalla brama di far dimenticare a tutti la sua origine, inaccettabile per le regole del patriziato veneziano ma perfetta per tentare il tutto e per tutto nella multietnica Costantinopoli.

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