Israele alla fine ha contrattaccato l'Iran, sebbene sia sempre più difficile e fuorviante usare i due termini "attacco" e "controattacco" in questo gigantesco gioco delle parti, in cui è sempre più complesso risalire all'atto primo di questo pandemonio.
Un'escalation "senza danni"
Ma al netto della potenza degli attacchi, l'uno contro l'altro armati e dei reciproci avvertimenti, l'escalation dell'ultima settimana sembra non aver fatto male a nessuno dei due contendenti. Entrambi al momento non registrano nè danni significativi alle proprie strutture, tantomeno strage di civili. Questo da un lato, forse, è una mezza buona novella: nonostante le esibizioni muscolari nessuno dei due Paesi vuole la guerra, quella dichiarata, "vecchio stampo". Dall'altro lato c'è tuttavia della rottura del tabù della guerra stessa, che ad oggi-al di là di attacchi, sabottaggi e proxy-non era mai stata "dichiarata" a viso aperto.
"L'unica cosa di cui aver paura è la paura stessa" , tuonò Franklin D. Roosevelt nel marzo del 1933, di fronte ai timori che stavano mangiando l'America. Mutatis mutandis, quella che al momento stiamo osservando tra Israele e Iran è un conflitto in cui l'esercizio della paura è l'arma più potente messa in campo. Molto più potente dei droni, dei missili e di tutte le conseguenze del caso. Lo stato attuale delle cose, che la si voglia chiamare deterrenza o guerra di nervi, sta già producendo degli effetti devastanti: sta tenendo sotto scacco due delle principali nazioni del Medio Oriente. Se l'attacco al Consolato di Damasco da parte di Israele, pur nella sua gravità secondo il diritto internazionale, poteva rientrare nello schema di un conflitto per procura tra le contendenti, quello che ne è scaturito dopo è pura guerra psicologica.
Iran e Israele sotto scacco della paura
Anticipata più volte dall'intelligence americana la scorsa settimana, la risposta dell'Iran si è fatta attendere per giorni. Tant'è che più di qualcuno stava cominciando a credere che l'unica "risposta" iraniana sarebbe stata "nessuna risposta": ovvero Teheran si sarebbe accontentata di far piombare su Tel Aviv il ludibrio internazionale per aver attaccato una sede diplomatica. Ma quando le 24-48 ore preannunciate da Washington stavano per scadere, così come la convinzione di un attacco certo, l'Iran ha scatenato su Israele la propria potenza di fuoco. Conseguenze gravi nessuna, se non quella di aver tenuto sotto scacco per più di una settimana un Paese con la guerra in casa, costringendo a duplicare sforzi, previsioni, impegno su due fronti, di cui uno atteso come Godot.
Dall'altra parte della barricata Israele ha fatto lo stesso. Sempre annunciando la risposta, ma giocando sull'attesa snervante. Un aspetto che lo stesso premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva ribadito, sottolinenando la volontà di punire l'Iran con la stessa arma: ovvero l'ansia dell'attesa. Poco sappiamo, per via di quella fortezza impenetrabile che è diventata, come è stata vissuta l'attesa della rappresaglia in Iran, ma è alquanto facile immaginare che una potenza molto probabilmente nucleare, fortemente isolata dal sistema internazionale, abbia vissuto queste ore nel panico più totale. A rischio catene di approvigionamento, siti nucleari, basi di pasdaran. Ma soprattutto, a Teheran c'è in gioco qualcosa di più grande: la tenuta del regime. Un Paese che già soffre repressione, le conseguenze delle sanzioni internazionali e che ha vissuto recenti tumulti di piazza, trema di fronte all'idea della guerra dichiarata, la riprova per milioni di iraniani che il re è nudo. E in questi casi, qualcuno ricordava che un popolo affamato fa la rivoluzion. Alla minaccia esistenziale Teheran ha risposto con il più inquietante degli avvertimenti: quello di usare "un'arma mai usata prima". Un'arma che non ha mai dichiarato di avere e che invece Israele dichiaratamente possiede. Un'arma che evoca scenari apocalittici e che fa tremare i polsi al mondo intero. Ed è al mondo intero che, infatti, l'avvertimento era indirizzato.
Teheran risponderà?
E dunque, finisce così? Zero a zero palla al centro? A quanto pare no. Tre giorni fa Abolfazl Amouei, portavoce del Comitato di Sicurezza Nazionale del parlamento iraniano, in merito alla risposta a un eventuale attacco di Israele contro Teheran, esortando Israele ad "agire con saggezza". Il viceministro degli Esteri iraniano Ali Bagheri Kani aveva rincarato la dose, ribadendo che a qualsiasi attacco israeliano ci sarebbe una risposta in "meno di qualche secondo". Di secondi ne sono passati molti dopo l'attacco di questa mattina a importanti siti nucleari, una grande base aerea e fabbriche associate alla produzione di droni e di altro equipaggiamento militare in quel di Isfahan, nell'Iran centrale. Teheran minimizza, come nulla di serio sia accaduto. La Russia, a guisa di suo patron, ha comunicato a Israele che l'Iran non vuole un'escalation. A spedire il messaggio ci ha pensato il ministro degli Esteri Sergei Lavrov in un'intervista alle stazioni radio Sputnik e Komsomolskaya Pravda. "Ci sono stati contatti telefonici tra la leadership di Russia e Iran, i nostri rappresentanti e gli israeliani. Abbiamo registrato molto chiaramente in queste conversazioni e comunicato agli israeliani che l'Iran non vuole un'escalation e non può non rispondere ad una grave violazione del diritto internazionale e lo status di missione diplomatica, ma non vuole peggiorare la situazione".
L'agenzia Fars vicina ai Guardiani della rivoluzione ha scritto stamattina di tre esplosioni presso la base dell'esercito a Isfahan, affermando che la difesa aerea era stata attivata e che un drone era stato avvistato anche a nord-ovest, a Tabriz, non lontano da una raffineria. Le agenzie di stampa iraniane hanno poi citato il capo dell'esercito a Isfahan, Siavosh Mihandoust, secondo il quale il rumore dell'esplosione sentito dai testimoni veniva dalla difesa aerea. "Non abbiamo subito nessun danno, non c'è stato nessun incidente", ha detto. Fin dall'alba, la televisione ufficiale iraniana ha mandato i suoi inviati nel centro di Isfahan, per dimostrare che vi regna la calma e la vita quotidiana si svolge regolarmente. La minimizzazione è avvenuta anche ai massimi livelli, visto che il presidente Ebrahim Raisi non ha citato nella sua conferenza stampa della preghiera del venerdì l'attacco di oggi.
Anche questa è guerra psicologica: lascia Israele nel dubbio se si tratti di fuoco sotto la cenere o di voglia di finirla qui. Sta di fatto che se avverrà, la risposta iraniana non giungerà subito, come sostengono numerosi media internazionali. Ma, intanto, il timore del peggio continua.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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