Tutti i dubbi sull'attacco. Pretesto perfetto per Mosca: vendetta su Kiev e Zelensky

Il racconto delle autorità russe appare poco credibile. Ma potrebbe aprire le porte a una escalation di violenza

Tutti i dubbi sull'attacco. Pretesto perfetto per Mosca: vendetta su Kiev e Zelensky

Elementi certi per attribuire la responsabilità di quanto accaduto non ce ne sono, e probabilmente non ce ne saranno mai. In teoria potrebbero essere stati davvero gli ucraini, che in questi giorni stanno già dimostrando la loro capacità di colpire duro in territorio russo, ma come minimo l’ipotesi «puzza»: perché droni nemici che attraversano indisturbati mezza Russia per andare a esplodere sulla cupola del Cremlino a favore di telecamera notturna fanno pensare o a una figura mediocrissima della difesa aerea di Mosca (viene in mente l’adolescente tedesco che nel 1987, in piena era di disgelo gorbacioviano, atterrò con il suo aereo leggero decollato dalla Germania sulla Piazza Rossa, lasciando tutti esterrefatti...) o alla classica sfacciatissima messinscena orchestrata dai servizi segreti del regime di Putin a fini di propaganda o peggio.

Quello che invece è assolutamente certo è che questo episodio, venduto con sospetta fulmineità da Mosca come un tentativo ucraino di assassinare Vladimir Putin, serve alla perfezione la falsa narrativa del Cremlino. Una narrativa che, a pochi giorni da un’annunciata e temuta (basta ascoltare il capo di Wagner, Evgeny Prigozhin) controffensiva ucraina che potrebbe coincidere con la data «sacra» del 9 maggio, ha bisogno come l’aria di un pretesto per scatenare contro Kiev e i suoi stessi vertici politici un’escalation di violenza che in qualche modo riesca a prevenirla. Ed eccolo qua, il pretesto: siccome i «nazisti» ucraini hanno osato attaccare il cuore stesso della Madrepatria, devono essere annientati nello stesso modo in cui lo furono i nazisti (veri) di Adolf Hitler il 9 maggio 1945.

La retorica del regime putiniano si è subito scatenata. Il botto notturno contro il cuore del Cremlino è stato dipinto come un attentato alla vita del presidente russo, anche se tutti sanno che Putin non dorme mai lì perché risiede nella dacia di Stato suburbana di Novo Ogaryovo o in altre residenze più o meno segrete.

Al Parlamento di Mosca, ridotto da anni a cassa di risonanza della volontà del Capo che se ne assicura la fedeltà assoluta truccando le elezioni e spedendo in galera i pochi veri oppositori politici, il partito putiniano ha impiegato pochi minuti per emettere una dichiarazione in cui «chiede» (verrebbe da sorridere, se non fosse tutto tragicamente serio) l’impiego di «ogni arma necessaria» per distruggere l’infame regime nazista di Kiev. E il Cremlino, altrettanto rapidamente, «accoglie la richiesta» assicurando che sceglierà tempi e modi opportuni per vendicare il presunto oltraggio.

In pochi minuti, dopo l’arrivo a Mosca del misterioso drone, la retorica ufficiale del regime russo è regredita ai toni del febbraio dell’anno scorso: con Volodymyr Zelensky non è possibile alcun negoziato e ci sono elementi a sufficienza per puntare nuovamente a quel cambio violento di guida politica a Kiev che non riuscì nei primissimi giorni dell’invasione per l’inattesa resistenza della capitale ucraina.

Il messaggio che a questo punto Putin rivolge ai compatrioti è un capolavoro (non certo il primo) di falsificazione della realtà. La Madrepatria, nella mia persona e non solo – ricordiamo i numerosi attacchi a treni e depositi di carburante militari su territorio russo in questi ultimi giorni -, sta subendo un’aggressione terroristica dall’Ucraina.

E io, Vladimir Putin, non sono l’invasore fallito che ha trascinato l’esercito nazionale a una sanguinosa guerra senza fine che è già costata duecentomila tra caduti e feriti, bensì il protettore della Santa Russia. Per salvare la quale dal ritorno del nazismo sul suolo patrio, ormai, ogni livello di violenza sarà lecito. Assassinio di Zelensky incluso.

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