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I bimbi non sono proprietà statale

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La lentezza della giustizia è una delle peggiori forme di ingiustizia. Se poi la cosa riguarda un bambino allora siamo nell'enormità vera e propria. E se due genitori arrivano, nella disperazione, a rapire la loro bambina perché gli accertamenti vanno per le lunghe e vogliono rivederla cosa possiamo dire? Difficile giudicare in questi casi ma possiamo provare a mettere in fila qualche considerazione.
La prima. Comunque sia non possiamo giustificare gesti di questo tipo. Perché se giustifichiamo la breccia dopo non possiamo scandalizzarci della rottura della diga con quanto ne segue. In Italia abbiamo assistito a sentenze della Corte di Cassazione che hanno giustificato qualche furto compiuto nei supermercati perché i ladri erano in condizioni economiche disagiate. Sono precedenti molto pericolosi tanto quanto lo sarebbe la giustificazione del rapimento dei genitori, sia pure disperati e che - magari - hanno dalla loro parte la ragione nei confronti delle istituzioni che dovevano dire una parola certa sulla loro situazione familiare e, quindi, sul destino della loro bambina.
La seconda. I bambini, come nessun altro individuo, non appartengono allo Stato che ne può fare ciò che vuole. Infatti non è assolutamente tollerabile, in alcun modo, che, per presunte inefficienze della macchina giudiziaria e amministrativa (di solito in questi casi c’è di mezzo anche il Comune), per mancanza di personale, per mancanza di mezzi (vogliamo escludere la negligenza) i tempi di accertamento di situazioni che riguardano i bambini nei loro rapporti con i genitori, con la famiglia, diventino essi stessi una causa di possibili patologie nel bambino stesso, o anche solo di un loro aggravamento. Conosciamo bene gli effetti devastanti della permanenza di un bambino in una famiglia con dei genitori che presentano delle patologie di vario tipo e che li portano a comportamenti gravi: dall’abuso alle violenze generiche, da comportamenti non ammissibili come droga e alcol ad assenze prolungate e ingiustificate oltre che ingiustificabili. Quindi non escludiamo a priori - ovviamente - la necessità di sottrarre, in alcuni casi, i bambini al loro ambito naturale. Il problema sono i tempi delle decisioni e delle contro decisioni che spesso si prolungano oltre i tollerabile. In questo senso lo Stato non può fare dei bambini ciò che vuole come se fossero suoi. Non è giustificato in nessun caso.
La terza. Troppo spesso abbiamo assistito a situazioni nelle quali i bambini vengono sottratti alla famiglia, che è il loro ambito naturale, senza mettere in campo tutto quanto era possibile perché rimanessero nella situazione alla quale hanno un naturale diritto, intoccabile e inalienabile. Troppo spesso la scorciatoia ha preso il posto della strada che andava percorsa esperendo tutte le possibilità che andavano esperite prima di portare via il bambino. Per un malinteso senso del cosiddetto welfare si è portati a pensare che la soluzione sia fuori della famiglia piuttosto che nella famiglia. Vale per gli anziani: invece di aiutare la famiglia a tenerli - ove lo vogliano - presso si sé, si preferisce la scorciatoia dell’ospizio. Oggi li chiamano in altro modo ma spesso la sostanza non cambia. Vale per i bambini: invece di fornire alla famiglia gli aiuti necessari per risolvere i problemi si preferisce la scorciatoia del loro affidamento ai servizi sociali o ad altre strutture simili.
Da lì inizia l’odissea. Spesso per sapere qualcosa i genitori devono fare i salti mortali.

Dei tempi non si sa nulla salvo che sono mediamente molto lunghi. La salute psicomentale dei bambini passa - di fatto - in secondo piano perché il tempo lotta contro la loro crescita armoniosa e sana. Ce n’è di che scandalizzarsi.

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