Milano - E quattro. Il rinvio a giudizio di Silvio Berlusconi per rivelazione di segreto d’ufficio, disposto ieri dal giudice preliminare Maria Grazia Domanico, è una notizia perché porta a quattro il totale dei processi in corso contemporaneamente contro l’ex presidente del Consiglio. È una notizia perché per la prima volta nella storia recente della giustizia italiana si è indagato a fondo su uno scoop giornalistico: la pubblicazione sul Giornale del 31 dicembre 2005 dell’intercettazione in cui un euforico Piero Fassino celebrava («Abbiamo una banca!») la conquista della Banca nazionale del lavoro da parte di Unipol, scalata da Giovanni Consorte infischiandosene delle leggi, della Consob e della Banca d’Italia. Ed è una notizia soprattutto perché per la prima volta la Procura di Milano si trova platealmente scavalcata, e fa di fatto la figura di essere stata troppo buona con Berlusconi. Le medesime prove che ieri fanno ritenere al giudice Domanico che un processo «non può ritenersi inutile», avevano portato il 16 dicembre 2010 il pm Maurizio Romanelli a proporre il proscioglimento del Cavaliere.
Vale la pena di ricordarle, le motivazioni con cui Romanelli - un pm tosto ed esperto, da poco nominato procuratore aggiunto a Milano - aveva chiesto di prosciogliere Berlusconi. Secondo le indagini della Procura, il nastro con l’intercettazione venne consegnato dal tecnico che l’aveva effettuata a Paolo Berlusconi, editore del Giornale, e venne portato ad Arcore per essere ascoltato dal Cavaliere. «È emerso in modo affidabile - scriveva Romanelli - che è stato personalmente Paolo Berlusconi, dopo l’incontro di Arcore, a chiedere e ad ottenere il necessario supporto audio, poi trasferito al Giornale ed utilizzato per la pubblicazione illegale; nel corso dell’incontro di Arcore non vi è stato alcun cenno alla prospettiva di pubblicazione; in quella occasione non vi è stato alcun consenso/autorizzazione/via libera alla pubblicazione da parte di Silvio Berlusconi, né esplicito né implicito».
Una volta tanto, insomma, l’ex premier sembrava destinato a uscire indenne da un’inchiesta. Invece il 15 settembre un giudice preliminare, Stefania Donadeo, respinge la richiesta di archiviazione e ordina alla Procura di formulare l’imputazione a carico di Berlusconi. La Procura, un po’ spiazzata e senza troppa convinzione, esegue. Ieri, in aula, davanti al nuovo giudice Maria Grazia Domanico si presenta Berlusconi: dà la sua versione su come andò la cosa, dice di ricordare vagamente l’incontro di Arcore come mille altri, esclude di avere sentito il nastro e tantomeno di averne disposto la pubblicazione. Berlusconi, diversamente dal solito, accetta anche di farsi interrogare. Una volta tanto, la versione del Cavaliere e quella della Procura coincidono.
Ma la Domanico non si lascia convincere. E - sebbene con questa formula singolarmente cauta, «non può ritenersi inutile» - dispone il processo a carico di Berlusconi. Comincerà in tempi stretti, il prossimo 15 marzo, e forse sarà unito al processo appena iniziato, per la stessa vicenda, a Paolo Berlusconi. Esulta Piero Fassino, oggi sindaco di Torino, che annuncia la costituzione di parte civile contro il suo principale avversario politico. Mentre Ghedini brontola: «Un altro bel colpo per il Tribunale di Milano».
Intanto, da Bari, si torna a parlare di Berlusconi nell’inchiesta sul faccendiere Lavitola: fu l’allora premier, scrive il tribunale del Riesame, a fare avere tramite Lavitola mezzo milione a Gianpaolo Tarantini, reclutatore di escort.
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