Per i liberali non c’è spazio a sinistra

Egidio Sterpa

Che significa essere liberali e chi sono e dove stanno oggi i liberali? Una recente sortita di Bertinotti, uomo di sinistra senza equivoci (questo gli va riconosciuto), ha posto il problema della loro collocazione. Che ci stanno a fare a sinistra?, ha sostenuto il leader di Rifondazione, che si facciano un loro partito perché con la sinistra i liberali non hanno niente a che fare. Come dargli torto? Sul Riformista di ieri l’altro, sabato, Biagio De Giovanni, in un editoriale, replica con argomentazioni solide a Bertinotti. Dice De Giovanni: che cos’è e che cosa può diventare una democrazia che consideri ostilmente, ed estranea, la dimensione liberale? Sarebbe una democrazia lontana dalla tradizione più alta del pensiero europeo, dal concetto di libertà affermato da Constant (fondamentale il discorso pronunciato nel 1819 all’Athénée royal di Parigi) e prima ancora da Kant (la libertà dell’uomo come risultato di scelta autonoma e non eterodiretta) e da Montesquieu, autore de Lo spirito delle leggi, opera che afferma l’altrettanto fondamentale principio della divisione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario).
A De Giovanni bisogna essere grati per la intelligente e robusta difesa della indispensabile coniugazione democrazia-liberalismo. Egli definisce «nuovi reazionari» quanti rigettano il liberalismo con «irresponsabile critica». Indica senza esitazione negli «antagonismi antimoderni e corporativi» uno dei lasciti della «vecchia sinistra italiana». E conclude: «L’intelligenza della sinistra deve impegnarsi perché ciò non avvenga: il suo vero compito è in questa battaglia». Ma l’attuale sinistra ha in sé valori, e cioè un complesso di principi che costituiscano garanzia per la tenuta e lo sviluppo di un regime democratico e liberale? Non a caso Ralf Dahrendorf, teorico liberale che spesso la sinistra cita a proprio vantaggio, scriveva giorni fa su Repubblica che la «democrazia politica da sola non garantisce l’ordine liberale». Persino con elezioni democratiche, spiega il politologo tedesco oggi componente della inglese Camera dei Lord, si può arrivare ad una democrazia illiberale, come del resto è avvenuto in non pochi Paesi. Insomma, per dirla con von Hayek, perché un regime sia davvero liberale, libertà di pensiero e libertà di azione devono essere garantite anche nelle cose più umili.
Nel dibattito su questo tema delicato e tutt’altro che marginale si inserisce, sempre sul Riformista di sabato scorso, una nota polemica di Emanuele Macaluso, una delle intelligenze più vive e consistenti, e anche più oneste, della sinistra italiana. Polemizza rispettosamente con Nicola Matteucci, prestigiosa firma del Giornale, «liberale serio», riconosce, al quale rimprovera di «sostenere il Cavaliere», causa persa secondo lui. La materia del contendere è un giudizio severo di Matteucci su Prodi e le contraddizioni delle sue «scatole cinesi»: Fassino, Rutelli, Bertinotti, Diliberto, Pecoraro Scanio, Pannella, Mastella, Di Pietro e vari altri. Dice Macaluso: «Tutto vero, ma cosa c’è sull’altra sponda?». Elenca a sua volta le contraddizioni berlusconiane, dalla Mussolini a Taradash, da Fini a Casini, Bossi. Commenta l’illustre corsivista: «Professore il casino è più di qua che di là. Forse lei avrebbe potuto dirci cosa c’entra tutto ciò con il liberalismo». L’amico Macaluso ci permetta una breve considerazione. Sì, il casino è oggi dappertutto nella politica italiana, per colpa del relativismo culturale, come abbiamo notato all’inizio di questo scritto, e di una scarsa, anzi scarsissima, eticità ideale. E però le contraddizioni assai più forti sono visibili a occhio nudo nel centrosinistra, cariche di rischi seri per la necessaria convivenza democrazia-liberalismo.

Sta qui, caro Macaluso, quel quid sostanziale che separa i liberali più seri e meno corrivi da quelli che si illudono di trovare nell’attuale sinistra la possibilità di una coniugazione resistente tra democrazia e liberalismo.

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