Elisabetta Pisa
La Svizzera sta perdendo il suo appeal. Un lavoro Oltreconfine oggi non è più così ambito dagli italiani come una volta. Gli stipendi più alti, che negli ultimi decenni hanno spinto decine di migliaia di lombardi in Ticino, hanno perso parte del loro potere di attrazione. O almeno così sembra, a giudicare dal trend dellultimo anno. Dal giugno del 2004 sono cadute parzialmente le barriere con lUe che proteggevano il mercato del lavoro elvetico. Oggi assumere un cittadino comunitario in Ticino è più facile: non viene più data la precedenza alla manodopera indigena. Ma a più di un anno dalla parziale liberalizzazione che sarà totale nel 2007 - non molto è cambiato. Il numero dei lavoratori italiani è praticamente stabile: nessuna «invasione di stranieri», nessuna «guerra» per il posto di lavoro tra ticinesi e italiani. Dunque la Svizzera non è più per i lombardi il top a livello lavorativo? Forse, ma una cosa è certa: il risultato è sorprendente soprattutto per i ticinesi che temevano di essere scalzati dai concorrenti dOltreconfine. Ma così non è stato.
Alla fine dello scorso marzo i frontalieri (per lo più impiegati nelledilizia, nellindustria, nella ristorazione e nel settore alberghiero) erano 35.600, allo stesso livello degli ultimi anni. Dal 1° giugno al 31 dicembre 2004, quando ancora vigeva il regime «protetto», le nuove domande sono state 3.655; dal 1° gennaio al 30 giugno scorso si è registrato addirittura un calo con 2.728 richieste. Quanto ai lavoratori temporanei, coloro che possono fornire prestazioni per 90 giorni, negli ultimi sei mesi del 2004 se ne sono contati 4.052; 4.075 nel primo semestre di questanno. Persone che oggi non necessitano più di un permesso di lavoro, ma che notificano semplicemente la propria presenza allamministrazione cantonale. Questa, dunque, la fotografia scattata dal primo rapporto semestrale sul monitoraggio del mercato del lavoro ticinese, realizzato dallOsservatorio cantonale.
«Non sempre lavorare in Svizzera conviene dice Emanuela Capra, di Luisoni Consulenze, società luganese leader in Ticino nella selezione del personale in ambito bancario, commerciale e industriale -. Conviene sicuramente alla manodopera poco qualificata, per la quale lo stipendio nella Confederazione è praticamente pari al doppio di quello italiano, ma non è così per i profili medio-alti. È vero che il fisco in Svizzera è meno vorace, ma ci sono altri fattori da considerare. Qui ogni mese si paga il premio della cassa malati che è un salasso; in più se ci si deve trasferire, a pesare cè anche il costo dellaffitto non proprio a buon mercato. Fatti due conti, per quadri e dirigenti non sempre è vantaggioso lavorare in Svizzera». In altre parole, a certi livelli, i salari al di qua e al di là del confine non sono molto diversi: il gap si è assottigliato, a differenza di quanto succedeva in passato. «Si assiste effettivamente a una convergenza degli stipendi dice Carlo Marazza, presidente della Commissione cantonale tripartita, formata da rappresentanti di padronato, lavoratori e Stato, incaricata di vigilare sul mercato del lavoro -, soprattutto per i profili elevati. Ma questo non significa che con la libera circolazione delle persone ci sia stato il dumping salariale come qualcuno temeva. Anzi. Gli stipendi dei frontalieri sono cresciuti: tra il 2004 e il 2005 il salario mediano è passato da 3.207 a 3.467 franchi. Abbiamo attivato subito i controlli: il Ticino è stato tra i primi Cantoni ad aver messo in piedi strutture per monitorare il mercato del lavoro transfrontaliero e reprimere gli abusi». Insomma, anche se qualche azienda sperava di reclutare manodopera italiana a costi inferiori, i controlli sullapplicazione dei contratti di lavoro lo hanno impedito. Ma per Claudio Camponovo, direttore della Camera di commercio del Canton Ticino, bisogna considerare anche altri fattori. «Cè un buon grado di occupazione nel Nord-Italia - dice -. Perché mettersi in macchina e fare ore di strada per venire a lavorare da noi? Il flusso di lavoratori si è ormai stabilizzato».
Di diverso parere Sandro Lombardi, direttore dellAssociazione industrie ticinesi, secondo cui è la crisi economica ad aver fermato gli italiani.
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