"I veri dati? Pdl al 33,7%, gli altri zeru tituli"

Il coordinatore del Popolo della libertà Denis Verdini analizza i risultati elettorali: "Al nostro 26,8% vanno sommate le preferenze alle liste a noi collegate. Assurdo parlare di crollo. Senza contare che i nostri elettori si muovono per le Politiche..."

"I veri dati? Pdl al 33,7%, gli altri zeru tituli"

Parla di un «risultato straordinario». Per il centrodestra ovviamente, ma anche per il Pdl, contrariamente a quanto hanno scritto diversi politologi. Il coordinatore nazionale del Popolo della libertà, Denis Verdini è convinto del proprio giudizio, Numeri alla mano, come spiega in questa intervista al Giornale.

Insomma, quanti voti ha preso il Pdl?
«Tantissimi. Se analizziamo il voto correttamente arriviamo al 33,7%».

Addirittura...
«Certo. Il voto delle Regionali non va paragonato alle amministrative del 2005, quando il Pdl ancora non esisteva, perché è nato nel 2008, bensì con le Europee del 2009».

Ma alle Europee avevate il 35,3% ora il 26,8%...
«Il punto fondamentale è che alle Europee abbiamo corso una lista unica, mentre alle Regionali per le caratteristiche particolari di queste elezioni, sono state presentate liste minori, formalmente, ma che in realtà sono sotto l’ombrello del Pdl».

E dunque?
«Per valutare correttamente quanti voti ha preso il Popolo della libertà, bisogna sommare al voto di lista quello delle liste minori, a cominciare dalla Polverini a Roma, che ha preso ben 646mila voti ovvero il 2,9% sul totale dei voti espressi nelle 13 Regioni. E vanno aggiunte anche le liste per il presidente che sono state presentate per aumentare la visibilità dei candidati governatori».

Ma anche così non arriviamo al 33,7%...
«Infatti, il conteggio non è finito. Vanno considerati anche l’Udeur di Mastella, che alle Europee correva con il Pdl, mentre alle Regionali no; la Nuova Dc di Rotondi, confluita nel Popolo della libertà, ma che in Piemonte è stata autorizzata a presentarsi sotto il proprio simbolo. E continuo: il Nuovo Psi-Mpa, in Campania (da non confondere con quello di Lombardo in Sicilia) ha preso lo 0,7%; la “Puglia prima di tutto” di Fitto lo 0,6% e così via. Se si fosse votato per le Europee tutte queste liste sarebbero confluite nel Pdl, che dunque non ha preso 6 milioni di voti, ma 7.621.000 pari al 33,7%».

Questo calcolo vale anche per il Pd?
«Sì, infatti, aggiungendo le liste minori riconducibili ai democratici, il Pd ha ottenuto il 26,8% anziché il 26,1%, con un incremento dello 0,7%. Esclusi ben inteso, la sinistra antagonista, Rifondazione o il movimento di Beppe Grillo».

Pure il voto della Lega va corretto al rialzo?

«No, perché la Lega ha scelto di correre in maniera uniforme con il proprio simbolo».

E allora come valuta il risultato del Pdl?
«Lo ritengo eccellente. Siamo passati dal 35,3% al 33,7%, con un calo di appena l’1,6%, che appare molto confortante se paragonato al dato sulla partecipazione al voto, scesa dal 69,56% di un anno fa al 64%. La differenza è del 5,5%, ma noi abbiamo subito un’erosione di appena un punto e mezzo. C’è da essere molto soddisfatti. Non capisco come alcuni istituti di ricerca, e mi riferisco al Cattaneo di Bologna, possano parlare di crollo del Pdl».

Ma come interpreta l’astensionismo? Non rappresenta un segnale di disaffezione nei confronti dei partiti e in genere del mondo politico?
«Direi di no. E per averne conferma basta considerare quel che accade negli altri Paesi. In Francia e in Gran Bretagna l’astensionismo è molto maggiore e i pochi elettori che vanno alle urne puniscono i partiti al governo, come dimostra la cocente sconfitta di Sarkozy alle Regionali. Eppure in Italia ciò non è avvenuto. Anzi, il centrodestra ha conquistato ben quattro Regioni. Mi sembra un segnale molto confortante, di fiducia nel governo Berlusconi, e in controtendenza rispetto all’Europa. Veniamo da una lunga serie di vittorie e continuiamo a vincere. Non dimentichiamocelo. Mi verrebbe da usare la battuta di Mourinho. Ci criticano, ma poi gli altri zeru tituli...»

Dunque, per il Pdl nessuna nube all’orizzonte?
«No, perché tradizionalmente l’elettorato moderato, a cui ci rivolgiamo, è motivato dalle grandi consultazioni dal forte significato politico. Tradizionalmente vota più volentieri per Camera e Senato che per le Europee e le Regionali. E infatti quando l’80% degli italiani si reca alle urne i numeri del Pdl sono diversi».

Eppure c’è chi pronostica una crescente rivalità con la Lega. I segnali ci sarebbero già: la sconfitta di Brunetta a Venezia, le pretese sul sindaco di Milano. È preoccupato?
«No, la Lega ha ottenuto un ottimo risultato, ma se analizziamo i voti ricevuti nelle ultime tre elezioni emerge una grande stabilità. Nel 2008 ha ottenuto 2.866.000 preferenze, nel 2009 2.944,000 ora alle Regionali 2.749.000. La Lega è un partito radicato sul territorio, accorto, che conosce bene i suoi simpatizzanti e ha una caratteristica che noi non abbiamo: possiede la capacità di mobilitare e di portare al voto i propri elettori. È una falange. Noi siamo un partito più ampio, articolato, che conta su un grande voto di opinione; dunque abbiamo connotati diversi».

Già, ma continuerete ad andare d’amore e d’accordo?
«Sì, perché l’alleanza Lega-Pdl si fonda su Berlusconi ovvero su una leadership carismatica, riconosciuta dagli stessi leghisti, e che dà successo al Paese e prospettive di cambiamento e di riforme. Il Pdl è l’anima e il motore di questa storia. I successi dei nostri alleati ci fanno molto piacere, ma non cambiano l’orientamento di Berlusconi, che è anche l’autore della vittoria alle Regionali.

Senza nulla togliere a Formigoni, a Cota e alla Polverini, se nelle ultime due settimane il Cavaliere non avesse fatto campagna mettendoci la sua faccia e tutto quello che ha, il risultato molto probabilmente sarebbe stato diverso».

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