Da impresa e lavoratori sì ai sacrifici collettivi per non uscire di strada

BerlinoNella sede dell’Ig-Metall, a Francoforte, si guarda con una punta di sufficienza a quanto sta succedendo a Pomigliano d’Arco nella controversia tra la Fiat e la Fiom. La difesa dei posti di lavoro che rischiano di essere cancellati dalla esigenza delle grandi case automobilistiche di conciliare produttività e bilanci in regola è un problema che è stato al centro delle grandi lotte che l’Ig-Metall, il sindacato dei metalmeccanici tedeschi, ha dovuto affrontare negli ultimi anni. Ma è anche il terreno su cui l’Ig-Metall ha ottenuto i suoi maggiori successi seguendo una via ormai collaudata: quella della flessibilità reciproca di cui è un esempio l’ultimo accordo concluso tra l’Ig-Metall e la Volkswagen in febbraio.
L’accordo, definito esemplare sia dai sindacati che dagli imprenditori, riguardava il rinnovo del contratto dei dipendenti degli stabilimenti Volkswagen nei Laender occidentali per il periodo 2011-2014. Le posizioni di partenza prevedevano un massiccio taglio all’occupazione. Dopo faticose trattative, ma con un ricorso minimo allo sciopero, è stata raggiunta un’intesa secondo cui la casa di Wolfsburg si impegna a garantire fino al 2014 la quasi totalità dei posti di lavoro: 95mila su 103mila. Gli 8mila che perderanno il posto di lavoro saranno selezionati tra i dipendenti alla vigilia del pensionamento e riceveranno generosi incentivi. In cambio l’Ig-Metall ha rinunciato a chiedere aumenti in busta paga per i prossimi quattro anni ed ha accettato il congelamento di una serie di benefici. Gli unici miglioramenti salariali sono legati a un aumento della produttività calcolato secondo criteri talmente complicati che un giornale finanziario tedesco li ha definiti «materia per iniziati». Insomma, sacrifici da entrambe le parti, flessibilità reciproca, difesa del lavoro in cambio del mantenimento della competitività industriale.
Una ricetta che risale al lontano 1993 allorché tra la Volkswagen e l’Ig-Metall fu raggiunto un accordo per quei tempi epocale. La prima casa automobilistica d’Europa si trovava in gravi difficoltà e il piano di ristrutturazione, anche per via della delocalizzazione che proprio in quegli anni si estendeva all’Europa Orientale, prevedeva la chiusura di alcuni stabilimenti. Alla fine il piano fu ritirato, non ci fu nessun licenziamento, ma in cambio tutti dovettero fare sacrifici: l’orario di lavoro fu ridotto da 36 ore settimanali a 28, le giornate lavorative da 5 a 4 e il salario subì un taglio proporzionato alla riduzione della presenza in fabbrica. Meno soldi, meno ore di lavoro, ma lavoro per tutti.
Dieci anni dopo altra prova di flessibilità reciproca nella controversia tra Volkswagen e Ig-Metall.

Dalle 28 ore settimanali si passò alle 35, ma l’orario veniva applicato a fisarmonica: a seconda delle esigenze della produttività si poteva lavorare una settimana 30 ore e un’altra 40 ma la media nell’arco di un anno non doveva superare le 35 ore alla settimana. I risultati hanno dato ragione alla flessibilità. La Volkswagen ha mantenuto il suo primato in Europa e l’Ig-Metall ha ben difeso i livelli di occupazione.

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