Era una missione impossibile, a metà strada tra il blitz militare e un'azione di polizia, molto diversa da un colpo di mano militare o da una liberazione di ostaggi. Proprio per questo si è conclusa con un bagno di sangue a dispetto di una lunga preparazione.
Gli uomini dello S'13 (Shayetet 13), in particolare della compagnia incursori, supportata dai colleghi della compagnia dedicata alle azioni di superficie, dovevano assumere, nel minor tempo possibile, il controllo delle sei navi che si apprestavano a violare il blocco navale imposto a Gaza, cercando di usare la minima violenza necessaria. Un compito affidato a una élite nellélite delle forze speciali israeliane, 300 uomini in tutto (ma ci sono anche i riservisti del Lotar a dare una mano quando serve) conosciuti anche come Kommando Yami. Eredi di una piccola formazione di specialisti costituita già nel 1949 in seno alla Haganà, la cui storia è costellata di grandi successi, ma anche di diversi fallimenti, almeno fino alla ristrutturazione del 1979.
Si è trattato di conciliare esigenze contrastanti e anche se l'obiettivo tattico è stato raggiunto, con le navi scortate nel porto israeliano di Ashdod, sul piano strategico si tratta di un disastro. Una volta che le intimazioni di cambiare rotta che le unità della Marina israeliana hanno ripetuto ai comandanti delle navi sono stati disattesi, occorreva agire. La prima difficoltà tecnica consisteva nel cercare di abbordare una nave in movimento. Cosa ancora più delicata perché l'«ammiraglia», la Mavi Marmara, è ununità passeggeri di discrete dimensioni, con a bordo almeno 500 attivisti, in buona parte estremisti, già pronti a un confronto anche violento. «Saturare» la nave e conquistare i locali chiave, plancia e sala macchine, era complicato.
Un confronto in pieno giorno davanti a Gaza sarebbe stato però molto più pericoloso e politicamente inaccettabile. L'azione dei commando è giustamente avvenuta in piena notte e in alto mare, dove gli attivisti si ritenevano relativamente «al sicuro» e quando molti di loro dormivano. Certo le condizioni non erano ideali per un assalto che non può prescindere dalla sorpresa. La scelta di impiegare simultaneamente barchini veloci (Rib) a chiglia rigida ed elicotteri ha consentito di ottenere comunque un minimo di shock e di mettere a bordo della nave il maggior numero di operatori in fretta. In particolare la tecnica della rapelling, discesa rapida con il barbettone dall'elicottero, consente di depositare un team in pochi secondi.
I commando avevano l'ordine di impiegare preferibilmente armamento e munizionamento non letale contro chi avesse opposto resistenza. Ma probabilmente è stata sottovalutata la rapidità e la consistenza della reazione «nemica» e gli operatori si sono mossi con qualche esitazione e ritardo rivelatisi fatali. Diversi incursori sono stati colpiti con armi bianche, almeno un paio addirittura disarmati e le loro pistole usate contro i compagni. Si è arrivati subito a un corpo a corpo dove il numero può fare premio sulla abilità del migliore professionista.
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