Indulto, Napolitano firma Poi chiede la riforma e bacchetta i magistrati

Il presidente della Repubblica: «Giusto lenire la sofferenza dei detenuti. Va ripensato l’intero sistema sanzionatorio»

Massimiliano Scafi

da Roma

Prima firma l’indulto, perché «la condizione di sovraffollamento delle carceri è intollerabile». Poi ferma le smanie dei magistrati, sull’orlo dello sciopero contro la riforma Castelli: «Nel momento attuale, si richiede anche una realistica e rispettosa comprensione delle difficoltà del Parlamento, quali risultano da un delicato equilibrio post-elettorale». Lo scontro, spiega Giorgio Napolitano al Csm, non serve, le rivalse neppure. Quello che oggi occorre invece è «ristabilire il rispetto reciproco e la costruttiva collaborazione tra politica e giustizia».
Al Quirinale cerimonia di cambio della guardia tra il vecchio e il nuovo Consiglio superiore. Il capo dello Stato ne approfitta per fissare ufficialmente i limiti del ring e rinnovare un appello al dialogo, l’unico modo per risolvere i problemi. Con il procedimento dell’eliminazione, sostiene, non si va da nessuna parte. Questo vale per l’indulto, gesto saggio e umano che però non risolve i problemi alla radice. Napolitano considera giusta l’approvazione di un provvedimento «di urgenza e di clemenza volto a lenire il degrado e la sofferenza» nelle case circondariali. Ma chiede «un ripensamento dell’intero sistema sanzionatorio e della gestione delle pene». Governo e Parlamento «devono procedere decisamente, con misure efficaci, sulla via della riduzione della durata dei processi e del ricorso a pene alternative alla sanzione detentiva» per rimuovere «finalmente in modo organico le cause remote e attuali della sofferenza del presente modello penale». Il dito del presidente è puntato sulla «eccessiva» lunghezza dei dibattimenti, «che non è soltanto una grave problema di collocazione internazionale dell’Italia ma, prima di tutto, una gravissima anomalia del nostro ordinamento interno».
Ma il no presidenziale ai colpi di spugna unilaterali vale anche per la riforma dell’ordinamento giudiziario. Non si può, avverte il capo dello Stato, preoccuparsi soltanto di cancellare le leggi del centrodestra, tanto più considerando «il delicato equilibrio» dei rapporti di forza. Non si può, dice alle toghe che a settembre vogliono scioperare contro la legge Castelli, pensare solo a rovesciare il tavolo. Più volte negli ultimi tempi i pareri del Csm «hanno suscitato polemiche e tensioni» perché «recavano il segno di un clima di aspra contrapposizione politico-istituzionale».
Così non va, insiste Napolitano. «Si deve e si può auspicare il superamento di tale clima come condizione non solo di una più feconda dialettica politica e parlamentare, ma anche di un più sereno rapporto tra le istituzioni, tra le quali l’ordine giudiziario riveste un ruolo fondamentale». Certo, ammette, non ci sono solo risse, c’è stato pure qualche «segnale altamente positivo». Come ad esempio l’elezione bipartisan e a larghissima maggioranza dei membri laici del Consiglio superiore, avvenuta «in tempi rapidi e nella prima seduta a tale scopo convocata». Sì, davvero un buon segno questa «puntualità istituzionale, un passo importante in direzione dell’allentamento delle tensioni e della conflittualità».
Questa dunque la strada maestra. I fuochi, dice ancora Napolitano, vanno spenti «anzitutto nella rigorosa osservanza della ripartizione delle funzioni tra i vari organi, una direzione lungo la quale è possibile ristabilire rispetto reciproco e collaborazione costruttiva». Stop alle polemiche, dunque: «Io sono persuaso che il Parlamento saprà farsi carico di inderogabili esigenze di intervento legislativo nelle materie di giustizia, a cominciare da quelle già in esame». Al Csm, «garante dell’autonomia e dell’indipendenza e anche della dignità della magistratura», il compito di «concorrere a una più efficace amministrazione della giustizia».
E mentre oggi il plenum eleggerà ufficialmente il nuovo vicepresidente Nicola Mancino, il vicepresidente uscente Virginio Rognoni conclude il suo mandato difendendo il diritto del Csm a criticare le leggi, «senza per questo essere considerati la terza Camera». Ma basta «con la deriva correntizia» perché «il puntiglioso proselitismo finisce per nuocere all’andamento spedito delle procedure di nomina» degli uffici direttivi.

«Si manifestano - dice alla cerimonia di saluto al Quirinale - remore e incrostazioni, molte volte riconducibili al gioco delle correnti. È necessario che all’interno delle singole componenti di guadagni il rifiuto di una politica consigliare, poco proficua nel merito e costosa per lo spreco di tempo».

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