La luce è la più immateriale delle sostanze, come tale è sempre inseguita nellarte, dai mosaici di Ravenna alle rappresentazioni religiose del Quattrocento fino ai neon di Fontana e Dan Flavin. La mostra «Light Lab. Cortocircuiti quotidiani» presentata al Museion di Bolzano, a cura di Letizia Ragaglia, aggiunge però qualche elemento più specifico al suo fascino. La luce è scelta per la sua potenzialità a innescare cortocircuiti visivi, non viene intesa solo per laspetto di smaterializzazione, ma come dato del quotidiano in grado di alterare le nostre consuetudini di percezione visiva.
Gli undici artisti, delle ultime generazioni, presentano una gamma di diverse interpretazioni del tema: Mario Airò, John Armleder, Massimo Bartolini, Ceal Floyer, Jeppe Hein, Zilla Leutenegger, Marcello Maloberti, Riccardo Previdi, Tobias Rehberger, Michael Sailstorfer, Ceryth Wyn Evans. In catalogo un gustoso testo di Nicola Setari riferisce le vicende incrociate dellinventore della lampadina elettrica, Thomas Edison, e del prestigiatore più famoso del mondo, il grande Houdini, che si scambiano in un certo senso i ruoli: il primo si dedica alla costruzione di un apparecchio per comunicare con laldilà, il secondo intraprende una battaglia contro lo spiritismo e i medium.
I Discoballs di Armleder trasformano larchitettura facendola vibrare in infinite rifrazioni. Diversi lavori hanno riferimenti nella letteratura. Lopera di Airò, appositamente realizzata, stupisce in un ipnotico incantesimo apparendo sulla facciata dellUniversità: un laser verde che secondo un moto ascensionale sale in verticale fulmineo per poi espandersi orizzontalmente in sette ritmici movimenti che corrispondono alla struttura fonetica della sintesi poetica di Ungaretti «Mi illumino di immenso». Wyn Evans traduce brani letterari in alfabeto Morse trasferendone il ritmo a luccicanti lampadari.
Bartolini è tornato in quella sala del museo di cui già nel 97 aveva modificato latmosfera con uninstallazione luminosa: in questo caso la sala è vuota e per intravedere lopera dobbiamo salire alcuni gradini e sporgerci dal davanzale per affacciarci in un esterno/interno costituito dallintercapedine tra ledificio del Museion e quello dellUniversità dove lartista ha sospeso luci domestiche che ci trascinano nel surreale habitat interno alle mura de Il terzo poliziotto di Flann OBrian. Floyer attira lattenzione su dettagli ovvi e quotidiani attraverso un intervento minimale anche nei mezzi tecnici utilizzati, atti a ingannare la nostra percezione: lambiente non è illuminato dalla lampadina che pende, ma da quattro proiettori agli angoli per indurci a dubitare di ogni nostra esperienza.
Maloberti, dopo aver documentato Cityng, la scenografica installazione di una tenda da mercato con duecento specchietti appesi che riflettono gli edifici della periferia di Mestre, sottopone lambiente della mensa universitaria a una totale trasformazione di effetti luminosi paradossalmente raggiunti senza luso della luce, ma attraverso riccioli adesivi di carta. Di Rehberger sono esposti due cabinets che emettono suoni. Lungo la pista ciclabile che passa sopra il fiume, Sailstorfer ha modificato due lampioni che sembrano baciarsi in un folgorante cortocircuito.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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