«Addestro cento specie ma col cinema italiano non ho mai avuto guai»

«Incredibile, folle... Ma sono pazzi?», si accalora Daniel Berquiny, che dal 1980 lavora nel cinema italiano con i suoi animali, quando gli chiediamo di commentare la notizia riportata nell'articolo a fianco. «Se la produzione de Lo Hobbit ha ammesso la morte di due cavalli durante la lavorazione del film - continua - deve risponderne ed essere condannata».
Berquiny, lei ha una lunga esperienza. In Italia potrebbe succedere un fatto analogo?
«Io non ho mai avuto nessun problema. Eppure lavoro nel cinema con oltre cento specie di animali, dalle tigri ai topi».
E i suoi colleghi?
«Neppure loro».
Come fa essere così sicuro?
«Perché gli animali che fanno cinema sono molto addestrati, anche più di quelli del circo, e quindi valgono molto. Nessuno sano di mente li metterebbe in pericolo o li maltratterebbe».
A volte la lavorazione richiede prestazioni estreme o comporta situazioni impreviste.
«Se il regista pretende cose strane, io rifiuto. Per esempio, più di quattro ore sul set i miei animali non ci stanno. E poi ci sono i veterinari».
Ma fuori dal set?
«Gli animali hanno i loro camerini, diciamo così. Si tratta di camper riscaldati e con l'aria condizionata dove fra una ripresa e l'altra si riposano e vengono rifocillati».
Ma che cosa potrebbe essere successo a quei due cavalli morti durante la lavorazione di Lo Hobbit?
«Non ne ho idea. Anzi sarei curioso di saperlo anch'io.

Magari sono morti perché erano malati o per un colpo al cuore. Può succedere».
La produzione era stata accusata di aver provocato la morte di 27 cavalli.
«Gli animalisti estremisti spesso parlano per ignoranza o per partito preso».

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