Addio a Stefano Borgonovo un centravanti contro la Sla

L'ex calciatore di Milan e Fiorentina si è spento ieri a 49 anni. Era diventato il simbolo della lotta alla malattia che lo aveva colpito nel 2008 e aveva battezzato la "Stronza"

Stefano Borgonovo spinto da Roberto Baggio
Stefano Borgonovo spinto da Roberto Baggio

Le braccia non prudono più. Le mani non tremano. Le gambe poi, sono ferme, gli occhi chiusi. Tutto, definitivamente. Stefano Borgonovo ha finito di vivere, di soffrire, di arrampicarsi su una montagna che era diventata la sua esistenza impossibile. La nostra speranza si è spenta con lui ieri pomeriggio. L'Italia stava per scendere in campo contro la Spagna, quella maglietta azzurra Stefano l'aveva indossata tre volte, erano gli ultimi fuochi dell'Ottantanove, a venticinque anni il ragazzo di Giussano aveva mille farfalle nel suo cuore e mille idee in testa. Il Como, la Sambenedettese, il Milan, la Fiorentina avevano riempito le sue giornate, Stefano segnava gol e voleva diventare grande. Il calcio è stata l'isola del tesoro e della condanna di questo ragazzo dolce e bello che la malattia ha morsicato e, lentamente, sfinito. La Sla è una patologia neurodegenerativa che colpisce i motoneuroni, le cellule nervose cerebrali e del midollo spinale che trasmettono i comandi dal cervello alla muscolatura scheletrica, questo determina trofia e progressiva paralisi e quindi alla morte per insufficienza respiratoria. La sclerosi laterale amiotrofica, questo è il nome per esteso di quella bastarda che si è infilata tra i muscoli, ha percorso il corpo robusto di Stefano, lo ha ipnotizzato, infine se l'è portato via.
Borgonovo ha intuito che non era possibile il dribbling, l'avversario non gli stava di fronte, si nascondeva senza che nessuno potesse affrontarlo, vincerlo, eliminarlo. Allora aveva incominciato a studiare e a studiarsi, per insegnare agli altri che cosa significhi ritrovarsi improvvisamente dalla luce al buio, come se un arbitro fischiasse di colpo la fine della partita, quando il pallone, appena calciato, sta per finire in rete.
Cinque anni fa, era il giorno cinque di settembre del duemila e otto, Borgonovo volle annunciare di essere stato colpito dalla Sla e di non essere in grado di parlare se non grazie a un sintetizzatore vocale. Fu come una saetta lungo la schiena dei suoi compagni, di tutti i calciatori, presi dal panico che il male potesse e possa colpire anche loro. Allora presero a cercare, con la memoria, segnali, sintomi, avvertimenti. Poi tutti incominciarono il pellegrinaggio, per capire da vicino, per cercare, in quegli occhi dallo sguardo fisso ma non spento, una speranza, una luce. Stefano rispondeva con un cenno delle palpebre, il computer riportava i suoi pensieri, traducendoli in parole. La malattia era diventata una battaglia sociale, Chantal, la moglie, i quattro figli Andrea, Alessandra, Benedetta, Gaia gli stavano di fianco, immobili come lui, pazienti, amorosi, disarmati, impotenti perché la Sla non ha spiegazioni, non ha cause e se la ha sono mille e più di mille, forse l'erba dei campi di calcio, forse i farmaci, forse l'aria del lago, forse. Il mistero ha avvolto l'esistenza di Stefano, come un tulle nero mentre, attorno, la gente si domandava perché, come, quando, senza trovare una risposta. Stefano aveva capito ma non si era arreso.
Amava troppo la vita, ne aveva annusato l'aria giocando a football ed era arrivato il momento di prendere altre strade. L'urlo degli stadi era diventato il silenzio di una camera da letto, Stefano intuiva il resto del mondo correre, vivere, reagire. La Sla ha la stessa prima lettera, esse, di Stronza, così l'aveva battezzata, con la maiuscola, perché così si era manifestata, così andava combattuta. Cinque anni guardando il cielo senza nuvole, senza colore. Cinque anni aspettando, invano. Stefano Borgonovo aveva quarantanove anni. Ma non è vero.

Era un bambino che cercava di vivere, regalando un sorriso, regalandoci una speranza.
Era un naufrago di una malattia che non ha confine.
Penso che Stefano si sia alzato e stia finalmente correndo. Così lo voglio immaginare.

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