Alfano ora ha paura di restare solo

Il vicepremier: "Brutta pagina del Senato". Ma non sarà facile giocare sul doppio tavolo della fedeltà a Cav e Letta

Alfano ora ha paura di restare solo

Roma - Addolorati per la decadenza di Silvio Berlusconi. Stupiti e anche un po' spiazzati dai toni soft adottati nei loro confronti dal loro ex leader. Preoccupati per il definitivo passaggio del Rubicone, per un passaggio parlamentare che sancisce in maniera plastica un distacco non più liquidabile nella rappresentazione del doppio binario del berlusconismo e taglia definitivamente il cordone ombelicale con il fondatore.
Il giorno dell'espulsione di Berlusconi dal Parlamento viene vissuto dalla compagine alfaniana - che, paradosso nel paradosso, guadagna un senatore con l'ingresso al posto del leader di Forza Italia dell'abruzzese Ulisse Di Giacomo - all'insegna di una sorta di «lutto controllato».

È lo stesso Alfano a dare una indicazione in tal senso e a spiegare ai suoi parlamentari che «la nostra difesa di Berlusconi deve avvenire in Parlamento. Oggi è il giorno della tristezza, non accettate provocazioni». Una linea che viene confermata con la convocazione di una conferenza stampa serale nel corso della quale viene letto un documento, sottoscritto da tutti gli aderenti ai gruppi parlamentari, in cui si sottolinea che «abbiamo votato e combattuto tutti contro la decadenza: oggi si sta scrivendo una delle pagine più brutte del Parlamento».
Nel documento - letto dal capogruppo a Palazzo Madama Maurizio Sacconi - si condanna in toto «l'anomalia democratica dell'uso politico della giustizia». Si definisce «grave errore» non aver sottoposto all'esame della Consulta la legge Severino e si «conferma la battaglia contro l'uso politico della giustizia e per la riforma del settore, anche con la firma dei 6 referendum radicali».

Sulla stessa falsariga le parole di Alfano e Schifani. «È una giornata brutta per il Parlamento e per l'Italia: è stato estromesso dal Parlamento un uomo votato da milioni di cittadini», spiega il primo. «Il risultato di oggi arriva a termine di una storia venti anni. A questo punto la giustizia non può e non deve uscire dall'agenda del governo e del Parlamento dei prossimi mesi. Il Pd non ha più alibi: bisogna procedere alla riforma della giustizia». Il secondo perora la causa della difesa «parlamentare» del senatore Berlusconi. «Non eravamo in piazza ma in Senato, al nostro posto per difendere il cittadino Berlusconi. Sono intervenuto più volte in aula, ho sentito il dovere morale e politico di essere coerente, è stata una pagina buia della nostra democrazia».
Al di là delle parole ufficiali, il sentimento dominante è quello di un diffuso timore per quello che accadrà nelle prossime settimane e per il possibile approfondirsi del distacco da Berlusconi nell'immaginario collettivo. «Cosa ci aspettiamo? Fuoco e fiamme», ammette un alfaniano. La frase di Renato Brunetta sulla nascita di «un governo di centrosinistra», pronunciata lunedì nella conferenza stampa al Senato in cui è stato annunciato il passaggio all'opposizione dei berlusconiani, ha lasciato il segno e fatto capire che non sarà facile giocare sul doppio tavolo dell'appartenenza al centrodestra e del sostegno «senza se e senza ma» al governo delle ex larghe intese, ora decisamente ristrette.

Alfano ora sa di dover scommettere sul rapporto preferenziale con Enrico Letta. Ma si tratta di un cammino pericoloso e costellato di trappole. Il rischio di restare ostaggio dei nuovi equilibri senza poter contare su di un vero potere negoziale nei confronti del Pd è evidente e palpabile negli umori interni. Così come nella dialettica tra ex del Pdl non sarà facile respingere le accuse di «poltronismo» destinate a cadergli addosso.
Tra le note positive c'è, invece, l'asse con la Lega che si sta rafforzando e su cui si punta, un lavoro sul territorio che sta producendo frutti e l'annuncio che «con un atto di donazione Italo Bocchino ha ceduto ad Alfano il marchio Nuovo centrodestra di cui era titolare dal 2011».

Si avvicina anche la definizione della scelta della sede che dovrebbe essere in uno stabile in Via del Corso a Roma. È evidente, però, che adesso si apre la vera partita: la definizione di una identità chiara e la ricerca di un vero appeal elettorale, senza più la riserva preziosa del berlusconismo.

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