Altro che taglio, ci costerà ancora 450 milioni

Un carrozzone di dipendenti, maestranze e funzionari. Che la riforma non cancellerà

Altro che taglio, ci costerà ancora 450 milioni

Roma - Si chiamerà Senato delle autonomie, non sarà eletto e cambieranno radicalmente le sue funzioni, ma la struttura rimarrà in piedi. Dirigenti, funzionari, maestranze, potranno al massimo essere un po' ridotti di numero, non negli stipendi da mandarini. È una vecchia storia; nella pubblica amministrazione italiana vige un principio molto simile alla legge fisica della «conservazione della massa» (nulla si crea o si distrugge, tutto si trasforma). Nella versione del Palazzo, un nuovo ente si può tranquillamente inventare, un'istituzione può al limite cambiare nome, ma abolire un pezzo di Stato proprio no. Il premier Matteo Renzi ha annunciato che si andrà verso una «restrizione» del Senato, ma «nessuno licenzierà i funzionari». Al massimo, la trasformazione dal punto di vista organizzativo, si trasformerà i una «cura dimagrante degli uffici».

Già ritornare alla situazione del 2001 sarebbe una bella dieta. Palazzo Madama ha conosciuto un boom delle spese nell'ultimo quindicennio. Dai 374 milioni di inizio millennio si è passati ai 546 milioni del 2011. Un salto del 45% che non è giustificabile e fa perdere peso alle riduzioni di spesa degli ultimi tre anni. Nel bilancio previsionale del 2013 era previsto un calo del 4,5%. Al netto dei rimborsi elettorali, la macchina di un Senato, sia pure riformata, continuerebbe a costare sopra i 450 milioni.
In linea teorica potrebbero scomparire i circa 43 milioni all'anno che ora servono a versare gli «stipendi» da senatori. Ma i 21 milioni per rimborsi e spese varie potrebbero essere confermati, se non aumentati, visto che i prossimi senatori saranno quasi tutti fuori sede. Difficile prevedere che fine faranno i 14 milioni per le segreterie particolari. Ma la tentazione di avere un «ufficio di diretta collaborazione» stipendiato a Roma sarà fortissima per i neo senatori.

Da pagare, i 77 milioni a favore dei senatori che hanno cessato il mandato. Sarebbero 57 al netto dei contributi, ma con la nuova Camera alta nessuno li verserà più e tutta la rendita degli ex senatori potrebbe finire tra le spese del nuovo Palazzo Madama. In un primo momento la spesa per i senatori «pensionati» potrebbe aumentare, visto che molti di quelli in carica non troveranno altre collocazioni. Ma poi, con il tempo, la spesa per il sistema pensionistico più generoso del mondo (a memoria di cronista) dovrebbe calare. A meno che non si voglia riconoscere un vitalizio da senatori anche ai sindaci e governatori. Altra tentazione per sindaci e presidenti delle regioni.
Se non ci saranno esuberi - come ha detto Renzi e come accade invece per le aziende private dove cessa un'attività - il nuovo Senato non cancellerà i 240 milioni all'anno che i contribuenti pagano per i dipendenti del Senato (comprese le pensioni), ai quali vanno aggiunti altri 32 milioni di contributi.

Un presidio di democrazia costosissimo, l'apparato amministrativo al servizio del Parlamento. Al Senato i redditi uno stenografo arriva a 290mila euro all'anno. Uno stipendio che in passato ha fatto scandalo, paragonato a quello, del Re spagnolo Juan Carlos, superiore a quello del Presidente della Repubblica.

Il personale di livello più basso appena entra a Palazzo Madama, può contare su un assegno mensile lordo da 2.400 euro che sale rapidamente sopra i 3.000. Quando gli italiani pensano all'abolizione del Senato, immaginano anche la fine di questi privilegi.

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