Non varrebbe la pena di tornare sull'incresciosa vicenda dei quiz ministeriali per accedere agli esami per il Tirocinio formativo attivo, se non per una ragione che diremo tra poco. Intanto, chiunque abbia un po' di tempo per «divertirsi» (ammesso che vi sia qualcosa di divertente in una vicenda che coinvolge il futuro di migliaia di giovani) dovrebbe andarsi a leggere i quesiti perché lo scandalo non può essere seppellito confidando nei giorni che passano. Difatti, quel che è stupefacente non sono solo i quesiti sbagliati denunciati da tanti, singoli e associazioni, ma l'incredibile accozzaglia di domande difficili, domande demenziali (che sembrano uscite dalla penna dell'ispettore Clouseau) e domande nozionistiche. Si ripete continuamente che è ora di finirla col nozionismo, e poi si pretende che un architetto ricordi a memoria la pendenza massima per una rampa percorribile con una sedia a ruote secondo il D.M. 236/1989 (ma non può consultarla quando ne avrà bisogno?), o un laureato in materie scientifiche l'anno esatto in cui comparve il primo volume della Histoire naturelle di Buffon; o un laureato in matematica quale tra quattro matematici italiani ha ricevuto la Medaglia Fields. Si propongono problemi e calcoli di matematica e di fisica pesanti, talora molto pesanti, si chiede di determinare in un minuto l'altezza cui giungerà un ascensore di date caratteristiche fisiche e poi si vira improvvisamente nel demenziale chiedendo (nella sezione di educazione fisica) qual è il tratto caratteristico di uno stile di insegnamento deduttivo o addirittura la definizione di «atteggiamento».
Come se non bastasse, vengono proposti brani su cui verificare la capacità di comprensione. Così ai futuri professori di matematica si pongono domande su un articolo di Sergio Romano su «Le vittime italiane di Kindu e la tragedia del Congo» e ai futuri professori di fisica su un articolo di Sergio Luzzatto «Nelle contrade del Bel Paese dove il sì suona», dove alla domanda perché bisogna partire dal formaggio per parlare dell'Italia la risposta è «perché un formaggio si chiama Bel Paese».
È noto che l'esito di questa sceneggiata è stato un'ecatombe e qualcuno (forse l'autore di questi quesiti) ha avuto il coraggio di dire che la prova ha rispecchiato il grado di preparazione dei candidati. Il ministero dell'Istruzione, per parte sua, comunica di aver convocato un'assise di «accademici» per valutare il contenuto delle prove e medita il da farsi, comunque da definire in autunno. In tanti ci siamo posti il senso di quanto accaduto: è stato un tentativo di bloccare l'accesso dei giovani all'insegnamento, in coerenza con la lunga guerra di trincea condotta dal ministero e dai sindacati contro il Tfa, oppure un'esibizione di incompetenza incosciente quanto arrogante, in linea con una tendenza dilagante? Oppure il combinato disposto di entrambe le cose? Difatti, che incompetenza e mancanza di serietà vi sia stata è indiscutibile - lo dicono le carte -, mentre l'altra componente attiene a un'opinabile valutazione politica.
Ora cala una notizia che è la ragione principale per cui la questione va riaperta ed è una notizia che fornisce una risposta alla domanda precedente. Si apprende difatti che, con un'efficienza da paese nordico, entro il 31 agosto saranno assunti 21.112 nuovi docenti, i quali saranno addirittura operativi dal 1° settembre. I sindacati plaudono e annunciano di aver vinto un lungo braccio di ferro col ministero, ottenendo di aver fatto accantonare le «esternazioni mediatiche sul concorso» per utilizzare, ai fini dell'immissione in ruolo, le «vecchie graduatorie», quelle a esaurimento che comprendono supplenti e precari e quelle degli ultimi concorsi a cattedra del 1990 e del 1999.
Qui non si tratta certo di dire che, nell'enorme bacino dei precari e supplenti, non vi siano delle persone che hanno diritti rispettabili e che sono state sfruttate dalle politiche sconsiderate perpetrate da decenni. Ma esiste anche la necessità di lasciare una porta aperta ai giovani, sia per un elementare diritto, sia perché una scuola che non si rinnovi con nuovi apporti è destinata a morire. Le due esigenze andavano contemperate con saggezza ed equilibrio, sciogliendo man mano l'eredità del passato senza compromettere il futuro. Vediamo che si è preferito invece chiudere definitivamente ogni prospettiva ai giovani, sull'altare del rapporto inossidabile tra dirigenza ministeriale e sindacati. Ma non abbiamo sentito dire, proprio l'altro ieri, che il male dell'Italia è la concertazione? Per un anno è stata condotta una guerriglia sui numeri del Tfa cercando di ridurli in ogni modo.
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