«To die, to sleep, perchance to dream», diceva Amleto. Morire, dormire, forse sognare. Quattro anni esatti fa il primo morto di Covid e il fantomatico «paziente zero» hanno fatto sprofondare il nostro Paese nell'incubo della pandemia. Dopo millecinquecento e rotti giorni però il dubbio amletico non si è ancora dissipato: essere pronti alla prossima gelata pandemica - ormai più che prevedibile - o non esserlo? Da allora sono morte quasi 200mila persone nonostante due lockdown, il green pass e la vaccinazione obbligatoria, ma la politica per molto tempo ha dormito, sognando di essere uscita da un incubo che ancora oggi miete un centinaio di persone a settimana.
La macabra sfilata dei camion militari traboccanti di bare sembra un'immagine consegnata alla Storia ma è simbolo della lezione che non abbiamo (ancora) appreso: serve un piano pandemico che non sia un dossier di carta ma un protocollo, un insieme di istruzioni che tutti devono essere in grado di eseguire. A iniziare dal pasticcio delle mascherine: le poche stoccate, nonostante le linee guida Oms, sono state regalate alla Cina mentre infermieri e medici eroi nella Bergamasca morivano. Malamente sono state (ri)comprate, a caro prezzo e in fretta e furia, dal commissario all'emergenza Covid Domenico Arcuri. Alcune fallate sono state bellamente sdoganate, l'elenco di fornitori cinesi «attendibili» è rimasto lettera morta per favorire uno squallido mercato che ha arricchito i pochi «amici degli amici» e ha seminato inchieste giudiziarie contro politici e faccendieri, su e giù per lo Stivale, che sfiorano Palazzo Chigi e i vertici delle Dogane.
Sarebbe bastato predisporre un piano per la riconversione di alcune aziende (come ha fatto la Fiat, ad esempio) nella produzione di mascherine da vendere allo Stato a prezzo concordato e calmierato. Si farà? Lo stress test del Covid ha devastato una sanità già inceppata da un eccesso di ospedalizzazione, figlio soprattutto della mortifera cura domiciliari a base di «tachipirina e vigile attesa», mentre alcuni nobili intuizioni (vedi la cura al plasma di Giuseppe De Donno) sono state mortificate. Per non parlare della balbettante campagna sulla vaccinazione che ha alimentato le peggiori teorie No Vax, alle quali si sono abbeverati politici senza scrupoli a caccia di voti.
Tocca alla commissione parlamentare d'inchiesta il gravoso compito di ricomporre il puzzle di una verità storica, in assenza di quella giudiziaria, disinnescata da un'indagine - quella della Procura di Bergamo - che ha dimostrato per tabulas la mancata prevenzione ma non è riuscita a trovare il nesso tra il diffondersi del contagio e la mancata Zona rossa ad Alzano e Nembro, compressa in un balletto di competenze e dubbi costati migliaia di vite. Un errore figlio della mancata applicazione del piano pandemico del 2006. Le polemiche delle scorse settimane su quello avanzato dall'esecutivo («È uguale a quello di Giuseppe Conte») dimostrano l'infantilismo strumentale dei Cinque stelle e del Pd, incapaci di ammettere gli enormi errori commessi dal premier e dal suo ministro della Salute Roberto Speranza nella gestione della pandemia, nate soprattutto da quella scellerata scelta. Ma il sedicente giornalismo d'inchiesta glissa sulle colpe del centrosinistra, bullandosi di meriti non suoi.
Sigfrido Ranucci nel suo La scelta si vanta di aver scoperto la mancata applicazione ma è smentito dal «suo» giornalista Giulio Valesini, che in un altro libro riconosce il ruolo dell'allora consulente dei legali delle vittime della Bergamasca Robert Lingard: fu lui a scovare il report Oms (sparito su pressioni politiche) che denunciava la gestione «caotica e creativa», come scrisse The Guardian ben prima di Report. Carta canta.
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