Basta, mi arrendo: starò con Silvio

Sarà interessante stare dalla parte di Berlusconi con il voto, arma genuinamente ludica

Basta, mi arrendo: starò con Silvio

Sarà interessante stare dalla parte di Berlusconi con il voto, arma ormai genuinamente ludica. E fino alla feccia, almeno per chi come me ambisca a nulla, per chi gli abbia messo contro una piccola lista alle ultime politiche, per chi abbia come chi scrive la certezza, messa in pagina e dichiarata infinite volte a lettere vuoi ironiche vuoi chiare, che il ciclo di Berlusconi è finito, strafinito. E che la chiave della sua salvezza e di un futuro che onori la sua stessa storia, e in parte la nostra, starebbe in una ordinata e responsabile uscita da quel mondo carismatico e pazzo, umorale e scombiccherato, egotistico e di branco, riunitosi intorno al grande impresario e alla sua compagnia di giro politica. Un lascito, un'eredità, un'investitura, una successione, chiamate la cosa come vi pare e piace.
Invece, con un sorriso sulle labbra che più malinconico è difficile immaginarlo, mi preparo per un piccolo gesto personale nichilista, saloino, che non avrei mai previsto di compiere in una onorata e disonorata carriera di realista politico con qualche ideuzza e qualche criterio di giudizio, al di là di compromessi e ipocrisie che toccano a tutti. Non ci credo, ma mi adeguo. Non per lealtà, concetto serio che non si può dilatare a fedeltà di servizio, ma per testimonianza di un nulla necessario.
Alfano dovrebbe mollarla lì, credo, e se fossi in lui non avrei gran fiducia nella possibilità di salvare il Pdl dalla sua stessa anima vitale, oggi incombente come uno spettro di maledizione e di risentimento, il Cavaliere travestito da Banquo. L'opera non è finita until the fat lady sings, fino a che non ha cantato la grassona, ma siamo certamente all'ultimo atto, all'epilogo. A novembre dell'anno scorso, dopo tre anni di capricciosa e trista deriva del governo e dell'armata Brancaleone che aveva vinto il consenso nazionale plebiscitario nel 2008, Berlusconi si buttò dalla finestra del Quirinale e fece entrare al suo posto i tecnici, la parte terza, i curatori di un fallimento storico che non era affatto solo suo, ma ci riguardava tutti. La parte avversa, opposizione parlamentare e opposizione extraparlamentare mediatico-giudiziaria, non era in grado di rilevare il governo nazionale, non c'era l'alternativa. Fu una sconfitta a due. Ma all'appuntamento con la riscossa, se intendiamo un progetto maggioritario di governo del Paese come tema delle elezioni al 2013, c'è arrivato uno soltanto.
In questo anno il fu centrodestra ha fatto il miracolo: invece di riunire una coalizione di governo seria e responsabile intorno all'unico osso intellettuale e pratico che c'era, il governo Monti e il suo significato strategico come pegno non irreprensibile ma irrecusabile di riscatto nazionale nella grande crisi, ha lasciato che questa operazione, con Monti e oltre Monti, la facessero Bersani e Vendola; e così saranno loro a vincere e a costruire un'alternativa di cui non si ravvisavano minimamente e non si ravvisano le basi culturali, politiche e programmatiche. Il Pdl incapace di governare le sue crisi politiche, in attacco e in difesa, sarà rappresentato dai casi di Lombardia e del Lazio, e da altri casi penosi. Faranno delle primarie attendibili, e vareranno una coalizione riverniciata che minaccia di funzionare come i vecchi Ulivi, cioè male, anzi malissimo. Sarà la rivincita, ma con un'aggiunta in palio di denaro sonante inaudita, del professionismo politico contro gli amatori e i dilettanti.

Nel frattempo a destra, con tre settimane e poco più a disposizione, a destra si discuterà di un certo Proto, blandamente candidato e blandamente indagato, e di un partito del 1994, ma 2.0, frettolosamente rifondato da un dinosauro che ha fatto la dieta. Non so se mi spiego.

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