Berlusconi lascia il cerino al Pd "Non votiamo più il governo"

Silvio Berlusconi incassa l’election day a marzo e blinda l’accordo con la Lega in Lombardia. Pdl pronto ad astenersi in aula sui prossimi provvedimenti. L’ex premier è ottimista: "Da oggi inizia la nostra campagna elettorale"

Berlusconi lascia il cerino al Pd "Non votiamo più il governo"

«Oggi inizia la campagna elettorale ». È un Silvio Berlusconi decisamente di buon umore quello che riunisce a Palazzo Grazioli i vertici di via dell’Umiltà.Una incontro sereno come non accadeva da tempo, aperto da Angelino Alfano a relazionare l’ex premier sul faccia a faccia mattutino con Giorgio Napolitano e chiuso con la promessa di rivedersi a inizio settimana per entrare nei dettagli organizzativi della campagna elettorale. Domenica, invece, riunione dei big lombardi ad Arcore per fare il punto sulle regionalidella Lombardia e sull’accordo con la Lega ormai blindato.

Una giornata positiva. Con Berlusconi che porta a casa ben due punti. Il primo: nel Lazio si voterà il 3 e 4 febbraio come deciso dal Tar, ma il 10 e 11 marzo dovrebbe esserci l’ election day con il voto per le politiche e quello per Lombardia e Molise. Ed era questo quel che davvero interessava al Cavaliere. Perché una sconfitta nel Lazio potrà sembra essere attribuita ai danni fatti dai vari Fiorito e comunque coinvolgerà in primabattuta gli ex An visto che loro è la roccaforte. Ma soprattutto perché l’accorpamento decisivo è quello con la Lom­bardia, in modo da consentire un accordo complessivo con il Carroccio dando il via libera alla candidatura di Roberto Maroni al Pirellone e giocando sul nazionale con lo schema del 2008 ( più altre liste satelliti). E questo è il primo punto, dicevamo. Anche se a margine della lunga riunione di ieri – presenti Berlusconi, Alfano, Verdini, Cicchitto, Gasparri, Fitto,Lupi,Bonaiuti e Letta – c’è chiobietta che si dovrebbe tornare a premere per un election day complessivo a febbraio.

Perché ritirando gli emendamenti alla legge di stabilità in calendario la prossima settimana si potrebbe chiudere la pratica entro il 20 dicembre. A quel punto via con lo scioglimento delle Camere e voto a febbraio. Insomma, non è escluso che dell’argomento si torni a parlare a inizio settimana, visto che questa seconda opzione avrebbe come conseguenza diretta quella di affossare decisamente qualunque ambizione del centro che già con il voto a marzo faticherà parecchio a organizzarsi.

Il secondo punto, invece, coinvolge direttamente il governo. Perché la presa di distanze è stata netta. Al punto che il Pdl è pronto ad astenersi anche sui prossimi provvedimenti. Napolitano avrebbe provato a mediare, ma la risposta rimbalzata da Palazzo Grazioli pare abbia lasciato poca scelta: il governo Berlusconi ha passato il testimone senza una crisi formale, ma se ci chiedete di sfiduciare Monti alle Camera perché credete che non ne saremo capaci accomodatevi pure, noi siamo pronti. Un punto su cui anche il capo dello Stato sembra abbia dovuto fare un passo indietro, perché un’eventuale sfiducia in aula a Mario Monti significherebbe in qualche modo «bruciarlo» sia nell’ottica di un bis a Palazzo Chigi che di uno sbarco al Quirinale.

Chi non l’ha presa per nulla bene è il Professore che pare non sia stato affatto morbido durante una telefonata con Letta. E pure il Pd è in fibrillazione. L’improvvisa sterzata del Pdl e il fatto di prendere definitivamente le distanze dall’esecutivo è evidentemente un problema. Perché in vista della campagna elettorale e con la seconda rata Imu all’incasso c’è il rischio che siano solo Pd e Udc a sostenere un Monti che negli ultimi mesi – a torto o a ragione – viene percepito come il responsabile di troppe nuove tasse.

Un Berlusconi, dunque, pronto al gran rientro. Ieri ha registrato un messaggio tv, oggi sarà a Milanello a caricare i rossoneri ed è già partito il risiko della campagna elettorale. I carri armati li sposta Verdini.

Che punta su Lombardia, Veneto, Campania, Puglia e Sicilia. Con il premio regionale econ i numeri che i sondaggi attribuiscono a Grillo, vincendo in tre di queste regioni il Senato sarebbe di fatto ingovernabile anche se Bersani dovesse prevalere.

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