Berlusconi mette in riga i suoi: decido io, le riforme si votano

Il Cavaliere determinato a non stracciare il patto del Nazareno tiene a bada il partito. Ma la prossima riunione con i big dovrebbe saltare: il leader li chiamerà uno per uno

Berlusconi mette in riga i suoi: decido io, le riforme si votano

Berlusconi ha dato la sua parola al premier: «Il patto reggerà, te lo assicuro io». Lo ha fatto giovedì scorso sia vis-à-vis, nell'incontro di Palazzo Chigi, sia in viva voce dopo la tormentata riunione dei gruppi a Montecitorio. «Come sempre mantengo la parola, io» è il mantra del Cavaliere che però sa bene due cose. Primo: chi contesta l'abbraccio con Renzi non ha torto, in linea di principio. Secondo: i malpancisti non sono pochi, sia in Senato sia alla Camera. Che fare quindi?
Berlusconi è orientato a convincere i frondisti che il patto del Nazareno non può essere stracciato. Vero che non è il massimo e che ci sono margini per migliorare un testo che non piace al cento per cento, specie in materia di elettività dei nuovi senatori; ma è vero anche che in qualsiasi trattativa ognuno deve rinunciare a qualcosa.

Basterà l'appello di due giorni fa per tenere a bada i malpancisti? Berlusconi lo spera ma c'è chi giura di no. Qualcuno azzarda l'ipotesi che, sebbene abbia promesso ai suoi un ulteriore incontro per fare la sintesi, l'ex premier non abbia alcuna intenzione di riassistere a uno sfogatoio azzurro simile a quello andato in onda giovedì scorso alla Camera. «È più facile che chiami uno per uno i suoi uomini per dire che no, non si possono fare brutti scherzi, e che le riforme vanno votate. Così è deciso». I filo trattativisti, quelli che stanno con Verdini e Romani, consigliano al Cavaliere di evitare ulteriori sfiancanti riunioni che servono a poco. Il messaggio che viene recapitato ad Arcore è il seguente: «Il leader sei tu. E come sempre devi decidere tu. Presa la decisione, noi ci dobbiamo uniformare a quanto stabilito». In pratica: basta ora discutere all'infinito. In pratica quello che dice l'ex ministro Rotondi: «Sulle riforme Forza Italia sarà compatta perché il nostro è un partito vivace e dialettico, ma la parola di Berlusconi vale per tutti».

C'è anche un ragionamento di fondo, tutto politico: «La realpolitik ci impone di non strappare il patto con Renzi - ammette un big di partito -. Se lo facessimo Renzi rottamerebbe l'Italicum in quattro e quattr'otto. E con il Mattarellum per noi sarebbe la fine». Ossia: con il Mattarellum gli azzurri rieletti sarebbero poche decine; con l'Italicum più o meno un centinaio. È la tesi di Verdini, uno che con il pallottoliere ci sa fare, gridata anche giovedì scorso davanti ai colleghi più refrattari a dare l'aiutino a Renzi.

I quali, si attestano sulla linea di Augusto Minzolini, al Senato la testa d'ariete del «niet» al patto col premier. Ma anche alla Camera si mugugna. Fosse per il capogruppo, Renato Brunetta, l'accordo «non s'ha da fare» ma per lui parla il Mattinale dove, nero su bianco, si dice: «Forza Italia compattamente, quando martedì il presidente Berlusconi condurrà il confronto tra i parlamentari (se ci sarà, ndr), sarà unita nel sì. Il nostro presidente non manda a monte un patto, e noi con lui». E poi arriva il «ma»: «Ma ci consenta, presidente Renzi, di dire di sì a qualche cosa che abbia il colore di una riforma vera e occidentale, democratica e sensata. Il premier ascolti la richiesta che arriva da parti importanti del Pd, di Forza Italia, della Lega, di Sel e riconsideri la questione dell'elettività del Senato». Altrimenti «così rovina le sue ambizioni, consegnandosi alla storia come un simil Caligola che per il culto della propria forza insindacabile ha imposto al Senato di trasformarsi in un caravanserraglio di nominati».
Si tratta ancora, quindi.

E il pallino è in mano al capogruppo al Senato Paolo Romani. Ci sono ancora margini sull'elezione dei senatori ma anche sui poteri che questi avrebbero sull'elezione del capo dello Stato e sul articolo 117, ovvero sulle competenze legislative.

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