Il Colle: se salta Letta tocca a Saccomanni

Napolitano manda il premier a caccia di voti. Il piano B? Governo di scopo per salvare i conti e rassicurare Ue e mercati

Il Colle: se salta Letta tocca a Saccomanni

Roma - «Non ho più voce», dice rauco Giorgio Napolitano alle sei di sera scendendo dal treno che lo ha riportato a Roma. Poco male, la ritrova più tardi, quando Enrico Letta sale al Quirinale per concordare «la successione dei passi». La linea è questa. Primo, il premier andrà in Parlamento, chiederà la fiducia e, chissà, potrebbe pure strapparla. Secondo: comunque vada, scordatevi le elezioni a novembre. «Il presidente della Repubblica concede lo scioglimento delle Camere quando non c'è la possibilità di dar vita a una maggioranza e a un governo per il bene del Paese». Terzo, niente governicchi, il percorso «deve essere lineare». Sintetizzando, se Letta cade, si va verso un esecutivo di «piccole intese» guidato da Fabrizio Saccomanni, più conosciuto in Europa di Grasso, con l'obbiettivo di varare la legge di stabilità e magari anche la riforma del Porcellum. Poi si vedrà.

L'incontro al Quirinale dura un'ora e mezzo. Nel comunicato finale non si parla di dimissioni del premier, ma di verifica in aula: «Il succedersi di dichiarazioni pubbliche politicamente significative dei ministri dimissionari, di vari esponenti del Pdl e dello stesso presidente Berlusconi ha determinato un clima di evidente incertezza circa gli effettivi possibili sviluppi della situazione politica». Da qui «la decisione di illustrare in Parlamento, che la sede propria di ogni risolutivo chiarimento, le valutazioni sull'accaduto e sul da farsi».

I partiti litigano, la strana coppia è esplosa. Ma al dunque, come Re Giorgio spiega in mattinata a Napoli, è tutta una questione di matematica. «Se ho fiducia nel Pdl? Il presidente non è che si fidi di una forza politica o dell'altra, ma valuta e agisce in base ai numeri determinati dagli elettori. «Valuterò tutte le opzioni, senza preconcetti. Vedrò se ci sono le possibilità per il prosieguo della legislatura». Insomma, contano i rapporti di forza in Parlamento, cioè quanti moderati o centristi decideranno di sostenere Letta. Presto per fare ipotesi, «siamo in una fase un po' criptica». Però, in caso di crisi, Napolitano non vuole battezzare un governino qualsiasi, un esecutivo esposto a tutti i refoli dello Zodiaco. Userà lo stesso metro, sostiene, di quello della primavera scorsa, quando Bersani inseguiva a vuoto i grillini e dopo il suo flop sono nate le larghe intese: «I numeri rendevano impossibile la formazione di altri governi».

E ora, i numeri ci sono? Le prossime ore saranno decisive. Nel frattempo Napolitano tiene a rapporto Letta e rallenta la corsa della crisi. «Ho avuto come tutti la notizia sabato sera dal presidente del Consiglio e da una telefonata di cortesia di Alfano - racconta - Vedremo quale sarà il percorso possibile. Procederò a un'attenta verifica dei precedenti di altre crisi, a partire da quella del secondo Prodi». Dopo due anni sul filo, nel gennaio del 2008 il Professore in difficoltà cercò un'avventurosa fiducia. Sconfitto, restò in carica per gli affari correnti mentre Napolitano affidò l'incarico a Franco Marini. L'esplorazione fallì e un mese dopo Re Giorgio sciolse le Camere. Da qui si capiscono due cose. La prima è che Napolitano non vuole ripetere l'esperienza Prodi, l'altra è che la finestra elettorale di novembre è chiusa.

E poi c'è la legge di Stabilità da approvare entro l'anno.

L'Italia, teme il Colle, ha già il fiato sul collo delle agenzie di rating e dei mercati, non reggerebbe una crisi al buio. Napolitano ripete il suo mantra, «continuità e stabilità politica» e cerca in ogni modo di svelenire il clima.

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