E sulle proposte di Berlusconi il Pd è già in tilt

Democratici divisi sul presidenzialismo: renziani favorevoli, ma dopo le riforme

E sulle proposte di Berlusconi il Pd è già in tilt

Roma - Quello che Matteo Renzi definisce «il rush finale» delle riforme sembra davvero partito. O almeno questa è la convinzione che ieri trapelava da Palazzo Chigi e da tutti gli esponenti renziani dopo la conferenza stampa di Silvio Berlusconi.
Convocata per lanciare la proposta di Forza Italia sul presidenzialismo, ma anche per far arrivare al premier la conferma ufficiale che il patto del Nazareno regge e reggerà. Ed è significativo che dal Pd non si siano levati anatemi contro il presidenzialismo. Anzi: quando il parlamentare dem Emanuele Fiano ha twittato che «il Pd è contro il presidenzialismo», il renziano Roberto Giachetti lo ha redarguito: «Non è vero, per quanto riguarda il nuovo Pd. Altra storia è legarlo impropriamente alla riforma del Senato». Come dire che, una volta passata quella, se ne potrà parlare eccome. E la sinistra Pd, consapevole che la posizione di Giachetti è tutt'altro che isolata nel partito renziano, mette subito le mani avanti: «La questione non esiste, non ci sarebbero mai i numeri», avverte Matteo Orfini. Tocca a Renzi chiudere il dibattito: «Per ora è inopportuno parlarne».

La prossima settimana si incontreranno il ministro Maria Elena Boschi con il capogruppo di Fi al Senato Paolo Romani, ma l'intesa di fondo sarebbe già raggiunta: Fi otterrebbe un drastico ridimensionamento del numero dei sindaci nella nuova assemblea, che rischiava altrimenti di trasformarsi in una sorta di monocolore Pd, sostituiti da consiglieri regionali. Superato definitivamente lo scoglio della non elettività, ormai accettata da tutti dopo la ritirata della fronda interna al Pd. Berlusconi potrà rivendicare di aver ottenuto modifiche sostanziali al testo del governo, Renzi potrà incassare l'accelerazione di una riforma che solo quindici giorni fa sembrava impantanata. E a coronamento dell'intesa potrebbe presto arrivare anche l'incontro tra Renzi e Berlusconi.

Il segnale più chiaro che il riavvicinamento era in corso è arrivato da Palazzo Madama, dove Forza Italia si è schierata contro la richiesta del centrista Mario Mauro (ostile alla riforma) di essere reintegrato dal presidente Grasso nella Commissione affari costituzionali da cui era stato estromesso.
«I berlusconiani hanno avuto paura di essere tagliati fuori dal tavolo delle riforme, grazie al ricompattamento della maggioranza, alle cui porte bussano sempre più numerosi transfughi di Sel e Grillo, e al dialogo con la Lega», spiega un renziano del governo, «e quindi Berlusconi ha dato l'ordine di tornare in campo».

E c'è chi aggiunge che al rasserenamento del clima abbia contribuito la notizia delle simulazioni di voto con diversi sistemi elettorali (l'Italicum, il Consultellum, il doppio binario Italicum alla Camera e Consultellum al Senato, persino il Democratellum dei grillini) illustrate martedì sera dalla Boschi nella riunione di Palazzo Chigi. Un chiaro segnale da parte del leader del Pd: o si fanno le riforme, o siamo pronti ad andare al voto in qualsiasi situazione. E siamo gli unici a potercelo permettere.

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