L a prima volta che ho visto Renato Brunetta è stato per un'intervista, ma già eravamo al tu per precedenti rapporti telefonici. Appena entrato mi salutò con gioioso trasporto e al commiato volle abbracciarmi. Affettuosissimo è stato anche negli incontri successivi, nonché festoso al telefono e altrettanto cordiale con tutte le persone cui ha avuto a che fare me presente.
Come un uomo così amabile in privato, possa trasformarsi in un rompiscatole e creare tanti attriti quanti ne ha provocati Renato da presidente dei deputati Pdl è un mistero. In un pugno di mesi ha svelato una prepotenza pubblica opposta alla mitezza che ho magnificato sopra.
Nel gruppo Pdl di Montecitorio, Brunetta ha scardinato un'organizzazione collaudata perché si considera la quintessenza del riformatore e nulla gli piace di quanto altri hanno fatto prima di lui. Usare la ramazza ogni volta che gli è affidato un compito istituzionale è il suo marchio. Quando nel 2008 fu ministro della Pa del quarto governo Berlusconi, prese di petto tre milioni di burocrati trattandoli da fannulloni. Li costrinse a non ammalarsi per non perdere quote di stipendio e li obbligò ad affrontare un percorso di guerra per giustificare ogni minima assenza. Fu detestato dall'intera categoria ma acquistò popolarità presso il resto degli italiani. La perse però due anni dopo, quando, incapace di tenere a freno la lingua, disse dei precari (figli della stragrande maggioranza dei connazionali) «questa è l'Italia peggiore».
Giunto alla presidenza del gruppo in marzo, Brunetta ha dunque sospeso tutte le posizioni e ordinato al braccio destro, Stefania Profili, di vagliare con colloqui chi poteva restare e chi andava frullato. A quali criteri si sia ispirata la temutissima Profili è ignoto. Sta di fatto che, senza neppure averlo incontrato, fu defenestrato lo storico segretario generale del gruppo, Franco Pallotta, roccioso marchigiano e autentica colonna da due decenni. Pare sia stata una ripicca diretta di Brunetta, in una faida tra ex socialisti del Pdl. Renato, craxiano di rito veneziano, discepolo di Gianni De Michelis, avrebbe covato antipatia per Pallotta, ex Psi pure lui, per la vicinanza al suo predecessore, l'ex Psi Fabrizio Cicchitto, colpevole da capogruppo di avere fatto sospirare a Brunetta un paio di stanze.
Altra cacciata illustre quella del portavoce del gruppo ai tempi di Cicchitto, Fabio Mazzeo, giornalista messinese. «Via i fascisti», avrebbe sentenziato Renato con riferimento al fatto che il mite Mazzeo era in quota ex An. Così, con una motivazione grottesca, Fabio sarebbe rimasto appiedato se la neo ministra, Beatrice Lorenzin, indignata per la brutalità, non lo avesse preso al dicastero della Salute facendolo capufficio stampa. Epici, infine, gli scontri tra Renato con la vice, Mariastella Gelmini, e la nuova portavoce del gruppo, Mara Carfagna. Le urla hanno rotto diversi timpani. A entrambe, Brunetta voleva infatti imporre collaboratori che stavano bene a lui e non a loro. Le due, che sono tigresse, alla fine l'hanno spuntata ma resta l'incognita di quanta autonomia otterranno da Renato. Gira già la battuta che «fare la vice di Brunetta è come fare il sottosegretario di Scajola», ossia finire annullati perché l'altro non lascia spazio.
Cosa abbia spinto il Cav a sceglierlo come capogruppo è oggetto di dibattito. Dopo la rottura con Giulio Tremonti due anni fa, l'economista di riferimento del Berlusca è stato Brunetta che, profittando del momento di grazia, si è sistemato di sua iniziativa in una suite di Palazzo Grazioli praticamente all'uscio dell'ex premier. Perciò, c'è chi pensa che la promozione a capogruppo sia una ricompensa e chi, invece, un'astuzia del Cav per liberarsi da una prossimità assillante. Ora che i deputati ce l'hanno negli stinchi si lamentano e dicono: «Il capogruppo deve essere empatico, il nostro invece è antipatico».
La stizzosità di Renato è proverbiale. Un giorno in Aula, la presidente Laura Boldrini, annunciandone l'intervento, disse: «Ha la parola il deputato Brunetta». «Grazie deputata Boldrini - replicò lui, piccato perché non aveva ricordato che era capogruppo -. Lei non mi chiama presidente e io non la chiamo presidente». A volte invece la suscettibilità scompare e Renato torna il tenerotto che ho descritto all'inizio. Tutti sanno la trentennale rivalità tra Brunetta e Tremonti, entrambi socialisti e primedonne. Eppure un giorno, in un momento di distensione durante una riunione politica, mentre Giulio stava distrattamente seduto, Renato gli saltò in grembo sistemandosi come un pupo tra le braccia della mamma. Circolano un paio di foto da Pulitzer di questa quasi poppata tra i due rivali.
Il sessantatreenne Brunetta è l'ultimo di tre figli di un venditore ambulante di «gondoete» - modellini di gondole in plastica - che smerciava sui marciapiedi di Venezia. Renato è cresciuto in un appartamento di qualche decina di metri quadri in cui abitavano in nove: i genitori con i tre figli e la zia vedova con altri tre marmocchi. In casa, non c'era neanche un libro. Eppure Renato frequentò il liceo classico e fu primo alla maturità. A 23 anni, si laureò in Economia. A 31, vinse la cattedra a Venezia. Tutto questo partendo dalla stamberga.
Così - dato il punto di avvio e visto l'arrivo - si è esaltato. Di qui, le fanfaronate. Tre anni fa, Brunetta - allora ministro - si candidò sindaco di Venezia contro il centrosinistro Giorgio Orsoni. Poiché era molto più popolare, avrebbe dovuto stravincere. Fu invece travolto dalla sua spocchia. Richiesto se avrebbe lasciato la carica romana, una volta eletto sindaco, replicò: «Neanche per sogno. Ho il cervello per fare benissimo le due cose insieme». Così, non volendo uno sbruffone tra i piedi, i veneziani gli preferirono il più modesto avversario. Un'altra volta, a Matrix, disse: «Volevo vincere il Nobel. Ero sulla buona strada, ma ha prevalso il mio amore per la politica e il Nobel non lo vincerò più». Inutile dire, che non l'ha neppure mai sfiorato e ha dovuto accontentarsi di qualche premio nostrano: lo Scanno, il Tarantelli, il Rodolfo Valentino. La parte più nota della sua produzione economica è quella che il Giornale pubblica ogni settimana. Un'analisi critica sui meccanismi Ue, meno focosa però del suo autore poiché, forse per timidezza intellettuale, non si spinge a immaginare come, all'occorrenza, tornare a battere moneta.
Due anni fa, Renato ha sposato Tommasa Giovannoni, detta Titti, architetto di interni.
Bella e in gamba, è l'unica di fronte alla quale l'orco Brunetta si ammansisce. Ottima cosa. Purché non depotenzi troppo il caratteraccio dello sposo, che in un Pdl popolato di mollaccioni, può risultare utile come una buona colt nel cassetto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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