Raccontare la storia, quella vera, spesso non si può, specialmente qui in Italia, e soprattutto quando si tratta del Ventennio fascista. Lo provano le polemiche strumentali scaturite dalla frase di Berlusconi sul fatto che Mussolini ha fatto anche delle cose buone. Eppure proprio in uno dei fortini della sinistra italiana i compagni celebrano il «bello» del fascismo.
Siamo a Forlì, nella rossa Romagna, dove nei prestigiosi musei San Domenico domani apre una mostra d’importanza non solo nazionale, ma anche internazionale sull’arte in Italia negli anni del fascismo. Il merito, direi il coraggio, è degli organizzatori, la Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì in coll aborazione con il Comune di Forlì. Eppure, il vecchio pregiudizio ci ha messo all’ultimo lo zampino, censurando e mascherando l’idea originale.
Vediamo i fatti, con una premessa: non sono un fascista, sono un inglese, anglicano ormai agnostico, etichettato solo l’altro giorno da la Repubblica come «storico anarcoconservatore ». Dunque. Lo scorso anno, nei comunicati che annunciavano l’allestimento di questa rassegna pubblicati dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, il titolo era: Dux. L’arte in Italia negli anni del consenso . Caspita!, mi ero detto: finalmente, dopo quasi 70 anni dal crollo del fascismo, un po’ di onestà intellettuale in riguardo. E cioè: per il fascismo c’è stato consenso, il fascismo ha prodotto cose meritevoli di essere rivisitate. Ma che cosa mai aveva spinto a tanto, cioè a usare la parola consenso, i cinque illustri curatori di questa mostra, tra i quali Maria Paola Maino, scenografa della sinistra più borghese nonché già moglie del compagno regista Bernardo Bertolucci? Già, perché, secondo la storiografia ufficiale comunista imperante dal 1945, Mussolini e il fascismo furono imposti al popolo italiano, e non voluti dal popolo italiano.
La verità è invece un’altra. Il consenso per Mussolini e il fascismo c’era. Punto. Ed era enorme.Fino almeno all’alleanza fatale tra Mussolini e Hitler. Dunque, quando l’anno scorso ho visto per la prima volta il titolo della mostra di Forlì e quelle parole «anni del consenso» ho concluso che, almeno nel campo dell’arte, dopo quasi 70 anni, la sinistra aveva smesso di spacciare per verità ciò che era solo propaganda. Mi ero illuso. Perché a un certo punto i curatori della mostra hanno deciso di cambiare il titolo originale senza dire nulla a nessuno. Anzi. Ad esempio, nel verbale della seduta della giunta della Provincia di Venezia dello scorso 10 ottobre, che ha dato il suo nulla osta al prestito di un suo quadro, si legge come «oggetto » di tale seduta il titolo originale. Che improvvisamente cambia in: Novecento, arte e vita in Italia tra le due guerre .
Ho cercato una risposta dalla Fondazione a due domande: chi era stato a decidere il titolo originale e chi aveva poi deciso di cambiarlo all’ultimo in fretta e furia. Mi hanno risposto, in sintesi e imbarazzo: all’inizio volevamo fare una mostra solo sul periodo 1926-1936, poi abbiamo deciso di ampliarla e il titolo originale è rimasto come titolo di uno dei 14 temi principali trattati nella mostra.
Interessante, ma falso. Perché anche il sottotitolo, come ho potuto verificare, all’ultimo è cambiato in: Dux, ascesa e caduta dell’immagine di Mussolini . Ma il diavolo, come dite voi in Italia, fa le pentole ma non i coperchi. E, nonostante i tentativi di allontanarsi nei titoli da un elogio all’arte fascista, gli organizzatori si sono traditi sulla parola «Novecento » che campeggia nel nuovo slogan. Già, perché «Novecento» era il nome di un importante movimento artistico fondato nella prima metà degli anni Venti, poco dopo la Marcia su Roma, dalla fascistissima, ed ebrea, Margherita Sarfatti, con il patrocinio del regime.
La Sarfatti, di una ricca famiglia veneziana, era una critica d’arte e fino ai primi anni Trenta l’amante principale di Mussolini. Aveva incontrato il futuro Duce nel 1912 a Milano, quando Benito era stato nominato dal Partito socialista direttore del quotidiano socialista, l’Avanti! Lei, come lui, socialista rivoluzionario, era la critica d’arte del giornale.
A differenza di Hitler e i nazisti, Mussolini e i fascisti non furono per niente antisemiti all’inizio della loro avventura. Lo sono diventati però nella seconda metà degli anni Trenta, dopo l’alleanza fatale con Hitler, in modo moralmente repellente sì, certo, ma tiepido rispetto ai nazisti. Le leggi razziali del 1938 in Italia furono una cosa abominevole, ma nessun ebreo fu deportato dall’Italia ai campi di sterminio dei nazisti prima della caduta di Mussolini nel 1943. Lo scopo di Novecento, come quello del fascismo, era di puntare sul meglio del vecchio e il meglio del nuovo, ovvero di creare un’arte che fosse sia classica che moderna definita dalla Sarfatti «moderna classicità » .
Il meglio dei novecentisti, secondo me, fu Mario Sironi. Sironi è stato uno degli artisti più geniali dell’intero Novecento e non solo in Italia. Ma a causa del suo appoggio incallito al fascismo (fu anche l’illustratore principale del quotidiano di Mussolini, Il Popolo d’Italia , e del suo mensile Gerarchia ), e nonostante la regolasecondo la quale si deve giudicare l’arte e non l’artista, la sua opera straordinaria non è mai stata veramente promossa dal 1945 in poi come avrebbe meritato.
Detto che non fu mai tramite l’arte che il fascismo cercò di creare una propria identità (puntò su architettura e cinema più che sulle gallerie), sarà veramente interessante scoprire come verrà trattata in questa mostra l’arte negli anni del regime fascista, la Sarfatti e il suo ebraismo e la sua storia d’amore con il Duce.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.