
C'è un vento freddo che soffia sulle democrazie occidentali. Lo abbiamo visto in Germania, come già altrove. I giovani, quelli che dovrebbero portare la primavera della speranza, si stanno spostando verso i margini più taglienti della politica. È un fenomeno che ha qualcosa di tragico, come un'eclissi in pieno giorno. I ragazzi a destra, le ragazze a sinistra. Un'apparente simmetria che nasconde una frattura profonda.
La domanda da porsi non è tanto dove vanno, ma perché ci vanno. Perché abbandonano il centro molle della politica e cercano rifugio nelle certezze granitiche degli estremi?
La risposta è semplice e terribile: stanno reagendo al caos. Stanno cercando un ordine, una stella polare in un cielo che sembra non avere più costellazioni riconoscibili. Ogni generazione ha il proprio modo di urlare contro il buio. Questa lo fa rifugiandosi nelle fortezze ideologiche.
Non è un caso che accada nell'era dei social network, quei labirinti digitali dove l'algoritmo è il nuovo Minotauro. Non divora i corpi, ma le sfumature. Tutto ciò che è complesso viene sminuzzato, digerito, ridotto a slogan. È la dittatura della semplificazione. Un'idea vale quanto un'emoticon. Un ragionamento quanto un meme. La verità quanto un hashtag.
I social hanno creato un mondo dove non esiste più la piazza, ma solo tante caverne digitali. Ognuno nella propria, a guardare le ombre proiettate sulle pareti e a scambiarle per realtà. Le chiamano "camere dell'eco", ma sono in realtà specchi dove ci si riflette all'infinito. L'altro non esiste più, se non come nemico o come clone.
In questi spazi claustrofobici i giovani cercano conferme, non confronti. Cercano applausi, non dibattiti. Vogliono sentirsi parte di una tribù, non di una società. E così, giorno dopo giorno, post dopo post, like dopo like, la polarizzazione si fa più profonda. Si scava un solco che diventa abisso.
I ragazzi a destra cercano il padre perduto, l'autorità che mette ordine nel caos. Le ragazze a sinistra inseguono l'utopia di un mondo finalmente libero dalle catene del passato. Entrambi, a loro modo, stanno cercando di dare un senso a un presente che sembra averlo smarrito.
È facile puntare il dito contro i giovani. Più difficile è ammettere che siamo stati noi, gli adulti, a consegnargli un mondo frammentato. Abbiamo demolito le grandi narrazioni senza costruirne di nuove. Abbiamo criticato senza proporre. Abbiamo predicato il dubbio senza coltivare la fiducia.
E così, mentre noi ci perdevamo nelle sabbie mobili del relativismo, loro hanno cercato la terraferma delle ideologie. Mentre noi celebravamo la fine delle certezze, loro hanno riscoperto il fascino pericoloso delle verità assolute.
Non c'è più tempo per il dialogo, non c'è più spazio per la complessità. In un mondo dove tutto scorre alla velocità di un tweet, la riflessione è un lusso che nessuno può più permettersi. Si cerca solo la conferma delle proprie convinzioni, l'applauso della propria tribù, il conforto della propria eco.
E così, mentre cerchiamo disperatamente di avere ragione, stiamo perdendo la capacità di essere ragionevoli.
È la grande tragedia della nostra epoca: più siamo connessi, più siamo soli; più abbiamo informazioni, meno abbiamo conoscenza; più siamo sicuri delle nostre opinioni, più siamo insicuri di noi stessi.La polarizzazione dei giovani non è che lo specchio della nostra fragilità collettiva. Una fragilità che nessun algoritmo potrà mai curare.
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