Si difende attaccando Luigi Lusi. Attaccando a tutto campo il suo ex capo, l'allora presidente della Margherita Francesco Rutelli. L'ex tesoriere dei Dl, accusato di aver sottratto quasi 25 milioni di euro dalle casse del disciolto partito, non retrocede di un millimetro davanti ai giudici della IV sezione del Tribunale che lo stanno processando. Anzi, i suoi legali vanno all'attacco chiedendo al Tribunale la sua assoluzione.
È il giorno delle arringhe difensive dopo la richiesta di condanna a sette anni e mezzo formulata la scorsa settimana dal pubblico ministero. «Luigi Lusi non è la mela marcia che è stata smascherata - dicono gli avvocati Luca Petrucci e Renato Archidiacono - attribuirgli la signoria e la padronanza assoluta come tesoriere della Margherita è risibile, così come è impensabile ritenere che lui solo decidesse quali e quanti soldi, e in che modalità, distribuire alle varie anime del centrosinistra». Poi, tanto per essere espliciti, i penalisti, spiegano meglio: «Come tesoriere di fiducia di Rutelli, Lusi non ha fatto altro che rispondere agli input del leader del partito». Assurdo pensare all'ex senatore che sottraeva ingenti somme di denaro sotto il naso di politici navigati, osservano gli avvocati. «È difficile ritenere che Rutelli, così attento e accorto alla gestione dei soldi, non abbia saputo nulla di quei milioni che la Procura ritiene sottratti da Lusi. La realtà - hanno proseguito i legali - è che in vista della fusione con i Ds per la nascita del Pd, la Margherita destinata a sparire come partito voleva investire in immobili l'ingente liquidità derivata dai rimborsi elettorali e solo Lusi, come uomo fortemente voluto alla tesoreria da Rutelli, poteva fare quel lavoro».
Parole che hanno provocato l'immediata reazione di uno dei difensori di Rutelli, Alessandro Diddi, stupito dal fatto che Lusi non abbia mai mostrato alcun ravvedimento: «Lusi finge fino all'ultimo di non comprendere la differenza esistente tra le sue gravissime appropriazioni indebite e i finanziamenti legittimamente riportati nella contabilità della Margherita. Ma la verità processuale è chiarissima e i fatti sono lampanti».
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