Roma - Piegato ma non (ancora) sconfitto, il Capo osserva attentamente quel che accade attorno alla sua Lega, che dopo il Tanzaniagate sembra già quella di Maroni, non più quella di Bossi. Ecco, troppo in fretta, secondo l’ex segretario federale. Ai fedelissimi, Bossi sta consegnando riflessioni molto amare, che riguardano soprattutto il protagonismo (giudicato eccessivo) dell’ex ministro, che nel giro di una settimana gli ha di fatto sfilato il Carroccio, eliminati uno dopo l’altro i nemici del cerchio magico bossiano (espulsi la Rosi e Belsito, neutralizzati Reguzzoni e lady Bossi, liquidato il Trota, a breve fuori anche l’assessora-maga Monica Rizzi). «Sta esagerando, si crede già il segretario federale... Ma se voglio mi prendo il simbolo della Lega, è mio» è stato lo sfogo delle ultime ore del Senatùr. Bossi sospetta, anzi è convinto, che Maroni (grazie ai rapporti privilegiati con le forze dell’ordine, da ex titolare del Viminale) sapesse dell’inchiesta con largo anticipo. E che pur sapendo, non gli ha detto nulla, comportandosi da «traditore». Questo aggettivo torna, non a caso, nelle parole di un bossiano di ferro (e anti-maroniano inossidabile) come il senatore Giuseppe Leoni, co-fondatore della Lega e titolare, insieme a Bossi e alla moglie Manuela ( sua amica), del marchio leghista, l’Alberto da Giussano con la dicitura «Lega nord»(patrimonio elettorale inestimabile). «Bossi ha dato tutto alla Lega, anche la sua salute. Maroni dice di fare pulizia? Lo dico anche io, iniziamo dai traditori ... » ha sibilato Leoni. È quel che pensa anche Bossi? Guai a dirlo, ma è molto plausibile.
Chi gli sta vicino in questi giorni riferisce di un Bossi «incazzato nero » con Maroni, per come sta gestendo il cataclisma. Visibilmente soddisfatto della vittoria interna (in casa Bossi si sono segnati sul taccuino il sorriso trattenuto da Maroni mentre, ospite da Vespa, dice: «Sono addolorato per quel che è successo»), troppo rapace nella conquista del partito, come se Bossi non ci fosse più. Invece c’è,e non è una presenza da poco. Anche per un dettaglio che in questa fase diventa cruciale.
Umberto Bossi non è solo il fondatore, ma anche il proprietario di quote personali nella Lega Spa, cioè dei beni del partito. A iniziare dal simbolo della Lega, quello che si presenta alle elezioni. Su questo punto circola la leggenda di una vendita, fatta da Bossi a Berlusconi nel 2000, in cambio di miliardi e revoca di querele. Si dice, ma la prova non c’è, e fino a prova contraria il simbolo appartiene a Bossi, moglie e Leoni. Quando al «raduno delle scope» di Bergamo una cronista di tg gli ha chiesto di quella storia, Bossi ha risposto duro: «Dove vive lei, sulla luna? Se fosse vero sarebbe uscito» (il documento notarile che lo prova).Quindi,in un’ipotesi (al momento fantascienza) di scissione tra una Lega fedele a Bossi e una fedele a Maroni, sarebbe solo la prima a poter usare il simbolo storico del Carroccio.
Non solo, Umberto Bossi possiede una quota personale (unico in tutta la Lega nord) delle due holding leghiste, la Pontidafin e la Fingroup. La prima è la società del Carroccio che possiede gli immobili (tra cui via Bellerio) e i terreni (tra cui il prato di Pontida). La seconda controlla altre società minori, tra cui l’editrice di Telepadania , la tv della Lega. Bossi è azionista di minoranza in quelle società, ma è anche l’unico leghista ad esserlo. Poi c’è La Padania ,il giornale,edito dalla Editoriale Nord Soc.coop, il cui consiglio di amministrazione è tutto bossiano o quasi. Il presidente è Federico Bricolo (ex cerchio magico), il vice presidente è Cota, e tra i quattro consiglieri c’è Rosi Mauro (che però dopo l’espulsione verrà sostituita).
Quindi Bossi ha dalla sua il simbolo, le quote delle holding leghiste, il giornale.Se si invertiranno i ruoli e l’ala bossiana diventerà la fronda della Lega di Maroni, ci sarà del filo da torcere per i barbari sognanti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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