L'altolà del Cav spaventa il Pd: si tratta ancora sul nuovo Senato

Ripresi i contatti tra Renzi e Verdini per scongiurare il rischio che Forza Italia si sfili. La riforma potrebbe slittare a dopo le Europee. Boschi: il rinvio non è un dramma

L'altolà del Cav spaventa il Pd: si tratta ancora sul nuovo Senato

Solo una frenata o davvero Berlusconi, via Porta a porta, ha deciso di far deragliare il treno delle riforme?
All'indomani della prima esternazione del Cavaliere in campagna elettorale e del siluro lanciato al patto del Nazareno («La modifica del Senato, così com'è, non è votabile»), le interpretazioni si dividono. Anche perché lui stesso ha lasciato in campo entrambe le ipotesi, assicurando che comunque «manterremo gli impegni con Renzi». Il premier e i suoi, per il momento, sposano l'interpretazione più minimalista: Berlusconi deve tenere alta la tensione nel suo elettorato, convincerlo a votare Forza Italia nelle urne del 25 maggio, e quindi non vuole apparire a rimorchio del premier e non ha alcun interesse a fare regali al Pd in campagna elettorale.

L'approvazione, anche solo in Commissione, della riforma del Senato diventerebbe immediatamente una bandiera nelle mani di Renzi, da sventolare trionfalmente. Quindi per il Cavaliere è bene che il ddl del governo stia a riposare in un cassetto, fin quando non si sarà votato. Poi se ne riparlerà. E a quel punto, sono convinti in casa Pd, se Fi reggerà elettoralmente, avrà tutto l'interesse a non appiattirsi sul fronte anti-riforme con Grillo, Chiti, Mineo e gli altri pasdaran della fronda Pd. I quali però forniscono un'ottima arma al centrodestra per sostenere che è proprio il Pd, con le sue divisioni e i suoi tafazzismi interni, a bloccare le riforme del premier.

«Berlusconi ha semplicemente preso atto del fatto che il Pd è lacerato sulle riforme costituzionali e non solo», dice Maurizio Gasparri. Il quale rilancia sulle riforme: «Perché ad esempio non approvare l'elezione diretta del Capo dello Stato? Se Renzi e il Pd sono contrari votino no. Ma non possono sfuggire al confronto».

Per il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi «Berlusconi è in campagna elettorale come tutti e credo stia valutando cosa sia più conveniente». Però, avverte, «io penso che si debbano rispettare gli impegni con gli italiani e non fare marcia indietro all'ultimo minuto. Forza Italia valuterà e ci farà sapere se mantiene gli impegni o meno». La stessa Boschi si dice «molto fiduciosa perché – spiega al Tg5 –i numeri ci sono per arrivare ad un'approvazione, mi auguro anche con Forza Italia, ma altrimenti dobbiamo comunque andare avanti». Il ministro apre anche a uno slittamento dei tempi: «Stiamo lavorando per il 25 maggio, ma una o due settimane di più non sarebbero un dramma». Anche il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, è ottimista: «Credo che nessuno – dice al Tg1 – si assuma la responsabilità di far saltare il tavolo delle riforme». Il capogruppo di Fi al Senato, Paolo Romani, assicura via Twitter che «saremo protagonisti del percorso di riforme istituzionali: sistema monocamerale, Senato ridotto proporzionato agli abitanti delle regioni». Ma Mara Carfagna avverte che è Renzi a dover decidere se «la priorità è la tempistica o la qualità delle riforme».

Oggi la questione sarà sul tavolo del colloquio al Quirinale tra Renzi e un Napolitano assai preoccupato dal possibile impasse se Forza Italia si sfilasse dal patto. Anche perché il presidente ha più volte lasciato capire che la durata del suo secondo mandato è legata proprio all'effettivo avvio del processo riformatore. Ma sono ripresi anche i contatti tra Renzi e Denis Verdini, ambasciatore berlusconiano sul dossier riforme.

E martedì il gruppo dei senatori del Pd, frondisti compresi, è convocato in assemblea con il premier, che vuole un chiarimento definitivo. E che è disposto a trattare su tutto, purché non si tocchino i suoi «paletti». Primo dei quali è che il prossimo Senato non debba essere elettivo.

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