Presto forse dovrà fare fagotto, ma intanto Enrico Letta si è accreditato. Per decenni era stato il «nipote di Gianni», ora da capo del governo ha acquistato una fisionomia in Italia e all'estero. È persona perbene, un italiano che parla le lingue, un tipo che non perde la testa e tiene la lingua a posto.
Aveva promesso al centrodestra di togliere l'Imu e ha mantenuto, nonostante i mal di pancia del Pd, il suo partito. Alla fine, a indispettirsi è stato solo l'ex premier, Mario Monti, che aveva introdotto il balzello e che ha reagito dando dello «smidollato» al successore. Ha scelto però il momento sbagliato per sfogarsi, dimostrando una gran faccia tosta. Nello stesso Consiglio dei ministri che ha abolito l'Imu, il governo ha infatti dovuto mettere una pezza all'enorme pasticcio degli esodati, capolavoro del medesimo Monti e della sua ineffabile protetta, Elsa Fornero. Quindi, per ragioni di decenza, avrebbe fatto meglio a tacere, sennonché il Professore, sotto sotto, pare nutrire una irresistibile antipatia per Letta junior. Il perché non è chiaro, salvo la comprensibile invidia per i 47 anni del giovanotto che sono un quarto di secolo meno dei suoi. Sta di fatto che non è la prima volta che lo strattona, nonostante la deferenza che Enrico gli dimostra.
Ricorderete ciò che accadde nell'Aula di Montecitorio mentre si discuteva la fiducia al governo Monti nel novembre 2011. Pensando restasse una cosa tra loro, Letta - al tempo vicesegretario del Pd bersaniano - scrisse al premier un bigliettino recapitato a mano da un commesso. «Mario, quando vuoi dirmi forma e modi con cui posso esserti utile all'esterno. Sia ufficialmente, sia riservatamente. Per ora, mi sembra tutto un miracolo! Allora i miracoli esistono» (sottinteso: che ci sia tu al posto del Cav). Una missiva, come si vede, sull'untuosetto che in modo subdolo cercava di blandire il neo premier per ricavarne vantaggi al suo partito e anche per sé, qualora gli fosse riuscito diventare il fiduciario dell'uomo del momento. Era ancora il comportamento di un ragazzo di bottega che cercava un posto al sole, fase che oggi Enrico ha sicuramente superato dopo le esperienze interne e internazionali degli ultimi quattro mesi.
Ma il punto è un altro. Nella stessa seduta, Monti anziché ringraziare Enrico Letta per la mano tesa, alzò gli occhi verso la tribuna e disse al microfono: «Sia ieri che oggi, una persona molto rispettata da tutti mi ha usato la cortesia di essere presente in tribuna, mi riferisco al dottor Gianni Letta». Il famoso zio di Enrico e braccio destro del Berlusca era infatti lassù in perfetto silenzio, in contrasto con il nipote che, giù in aula, faceva il maneggione con lettere e commessi. Non sto a dire la figura del tapino che toccò al giovane Letta per essere stato totalmente ignorato dal premier che invece si inchinava al congiunto. Ecco perché sostengo che Monti, oggi tiepido alleato del governo con la sua Scelta Civica, non straveda per Enrico.
Letta junior non sarà simpaticissimo perché un po' chiuso, ma è persona gradevole. Sorride spesso e, anche quando è serio, non perde cordialità. A tratti, è perfino zuzzurellone. Buffissimo è stato vederlo, subito dopo l'ultimo Consiglio dei ministri sull'Imu, al Tg1. Accettando il suggerimento che deve avergli dato il giornalista o un cameraman, il premier anziché fare una normale dichiarazione di fronte alla telecamera, ha preso la cornetta e ha finto di parlare al telefono con un immaginario interlocutore al quale spiegava contenuti e vantaggi dei provvedimenti appena assunti. Un'autentica recita, molto talentuosa, comprensiva delle pause di chi ascolta e poi replica alle obiezioni. Una cosa mai vista e un modo di rappresentare il potere in pigiama anziché in giacca e cravatta. Un'informalità alla papa Francesco che, evidentemente, il democristianissimo Enrico ha preso a modello.
Questo stile apparentemente semplice, l'equivalente politico dell'arte povera, è bene espresso nella frase che Letta ripete spesso: «Questo (il suo, ndr) non è il mio governo ideale e nemmeno il mio presidente del Consiglio ideale», oppure quando dice: «Io ce la metto tutta, di questo gli italiani possono essere certi». Un atteggiamento opposto al sussiego di Monti o alla spocchia di Matteo Renzi. Dettato, probabilmente, dall'astuzia prudente di un uomo non sicurissimo di sé, ma determinato a giocare le proprie carte fino in fondo. Inedito è anche il rapporto con i ministri, compresi quelli del centrodestra. Hanno tra loro i modi amichevoli di coetanei che chiacchierano in spiaggia. Con Angelino Alfano sembrano capirsi a occhiate e risatine. Vero che hanno una militanza giovanile simile nelle correnti dc di sinistra: Letta pupillo di Beniamino Andreatta; Alfano del vivaio di Ciriaco De Mita. Ma pure con gli altri - Beatrice Lorenzin, Nunzia De Girolamo, Maurizio Lupi e con la sola eccezione di Gaetano Quagliariello - c'è l'annosa complicità dovuta alla comune appartenenza a VeDrò, la fondazione culturale che Letta ha creato per unire in una specie di Circolo degli scacchi una generazione di quarantenni aldilà delle divisioni politiche.
Questa inclinazione lettiana al dialogo, unita all'innata prudenza dc, moltiplicata dal gene proprio dei Letta che produce una sostanza zuccherosa, il Lettolin, simile alla melassa (Gianni Letta è soprannominato Zolletta), costa tuttora a Enrico la diffidenza dei più sinistri e accaniti del suo partito, il Ds-Pds-Pd, dove ebbe la dabbenaggine di approdare dopo il crollo della Dc. È questa la ragione per la quale, nonostante la venerazione per Andreatta, Romani Prodi, molto più partigiano e cattivo di Letta junior, non ha mai voluto eleggerlo suo erede politico.
Da quanto ho raccontato, si capisce che, politicamente e umanamente, Enrico è un personaggio piuttosto positivo, che, se non fosse già sposato due volte, qualsiasi mamma vedrebbe con vasto favore al fianco della propria figlia.
Dopo questo soffietto, i lettori si chiederanno come la mettiamo che Letta se ne strabatta dei destini del Cav cui deve sia il governo che presiede, sia le idee che lo nutrono.
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