L'imbarazzante show della sindacalista anti-Meloni

Eliana Como, esponente della minoranza Cgil, spiega a Quarta Repubblica, da Nicola Porro, il perché della sua protesta contro Meloni

L'imbarazzante show della sindacalista anti-Meloni

È stata lei a ideare quella forma di protesta contro Giorgia Meloni sul palco del congresso della Cgil. Si chiama Eliana Como, è una sindacalista, guida un gruppetto di minoranza interna contro Maurizio Landini e soprattutto ha pubblicato quella foto anti-Meloni scimmiottando Chiara Ferragni e il suo abito di Sanremo: "Pensati sgradita in Cgil". Una provocazione cui il premier ha risposto a tono tra una smorfia e l'altra mentre i "resistenti" intonavano Bella Ciao.

Bene. Ieri la sindacalista era ospite negli studi di Quarta Repubblica proprio per spiegare le ragioni del suo gesto. In fondo la Meloni era stata invitata ufficialmente da Landini e ha avuto il garbo di accettare nonostante sapesse benissimo di andare nella "tana del lupo". I fischi erano scontati, se li è beccati pure Carlo Calenda. Ma almeno quelli erano riferiti ai temi esposti dal segretario di Azione, non a prescindere come nel caso della leader di FdI. Ieri sera Eliana Como si è seduta nel salotto di Nicola Porro per spiegare che Meloni era "fuori contesto", che serviva un contraddittorio, che insomma ascoltare va bene ma "i fasci" anche no.

Il ritornello è sempre lo stesso e sa di show un po' stantio. Sintetizzo: al potere c'è "il governo più di destra di sempre", "Meloni è figlia di una cultura politica che non ci appartiene", la destra "è contro l'immigrazione", l'Italia è fondata su una Costituzione antifascista, "quella era casa nostra", la scazzottata di Firenze, la strage di Cutro eccetera eccetera. Quindi andava boicottata. Il problema insomma non sono i temi di un sindacato (il costo del lavoro, la riforma fiscale, l'abolizione del reddito di cittadinanza, il salario minimo), ma l'essenza stessa dell'esecutivo. Trattandosi di esponenti di destra, per la pasionaria sindacalista non vale neppure la pena ascoltarli.

Vanno contestati. Punto.

Eppure è questo pregiudizio ad essere totalmente irrazionale: se ci si definisce democratici e aperti al dialogo, perché respingere il confronto con un premier democraticamente eletto?

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