Nessuna frenata, almeno fino a ieri sera. Con il Consiglio nazionale del Pdl che resta convocato per sabato mattina alle dieci al Palazzo dei Congressi dell'Eur. E già questa visto il pressing non solo di Angelino Alfano ma pure di un Gianni Letta che raramente pare essere stato tanto determinato è di per sé una notizia. Perché nonostante tutto il Cavaliere non si sarebbe fatto convincere a congelare la convocazione dei circa 850 delegati del Consiglio nazionale, una sorta di congresso di partito per formalizzare il passaggio dal Pdl a Forza Italia.
Una giornata, quella di ieri, che ha visto volare soprattutto le colombe, nonostante il lungo pranzo a Palazzo Grazioli tra Silvio Berlusconi, il capofila dei lealisti Raffaele Fitto, Denis Verdini, Sandro Bondi e Daniela Santanché. Una riunione andata avanti fino a metà pomeriggio a cui partecipano anche alcuni dei cosiddetti mediatori, Paolo Romani e Maurizio Gasparri in primis, ma anche Letta. Ed è proprio quest'ultimo a ribadire ripetutamente al Cavaliere la necessità di «restare uniti». Con argomentazioni nette, in alcuni passaggi anche brutali. Se toglierai il sostegno al governo è il senso dei ragionamento dell'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio questa volta «te la faranno pagare». Non solo il Quirinale non gradirebbe, ma anche le cancellerie europee e le Borse si farebbero in qualche modo sentire. Insomma, un Letta davvero tranchant. Berlusconi ascolta, come sempre accade in queste occasioni. E dà spazio a Fitto che ovviamente la pensa in tutt'altro modo.
L'ex premier ascolta tutti, anche chi ripete che sulla decadenza «si è fatto il possibile». Un concetto che Alfano ribadisce davanti ai ministri del Pdl e ai parlamentari che partecipano alla riunione dei filogovernativi. Il voto del Senato, peraltro, non dovrebbe slittare ulteriormente rispetto alla data già fissata del 27 novembre. In questo senso, infatti, pare si stessero muovendo Renato Schifani e altri pontieri del Pdl ma il Pd ha fatto sapere che non esistono margini e che «è impensabile» qualunque rinvio. D'altra parte, sui democratici incombono le primarie dell'8 dicembre, appuntamento a cui vogliono arrivare avendo già «chiuso» la pratica decadenza.
Un panorama complesso, dunque. Nel quale Berlusconi non vuole dare pretesti a nessuno e continua a ripetere il suo appello all'unità. Nonostante le distanze siano ormai nei fatti e nonostante un certo fastidio per il fatto che Alfano ormai ex segretario presiede riunioni di corrente con un pezzo di quella che l'ex premier considera una sua creatura. Una scelta molto lontana dai canoni del berlusconismo come l'abbiamo fino ad oggi conosciuto, tanto che i lealisti nonostante Saverio Romano l'avesse buttata lì come ipotesi si sono ben guardati dal riunirsi. Al di là dei desiderata e di probabili tentativi di mediazione al fotofinish, il problema è però che la rottura tra governativi e lealisti è già consumata nei fatti. E che un bel pezzo della corrente che fa capo ad Alfano tra cui almeno tre ministri si considera già fuori. Non può essere un caso, per dirne una, che proprio in queste ore stia nascendo Popolari per l'Italia, il gruppo di fuoriusciti da Scelta civica che fa capo al ministro Mario Mauro e che terrà dentro pezzi importanti del mondo cattolico e dell'associazionismo, da Cielle alle Acli. È infatti qui che già si collocando molti dei cosiddetti governativi.
Anche se il Cavaliere insiste sulla linea morbida e ragiona sull'eventualità di sminare l'appuntamento di sabato dalle questioni più scottanti decadenza e sostegno al governo non è dunque affatto escluso che si arrivi comunque a una rottura. Molto dipenderà anche da come si è concluso l'incontro in programma ieri a tarda sera a Palazzo Grazioli tra Berlusconi e Alfano. Un faccia a faccia che davvero potrebbe essere decisivo.
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