Buongiorno Direttore Feltri,
lei è d'accordo con il leader della Lega Matteo Salvini quando afferma che stiamo abdicando alla nostra cultura e calpestando i nostri valori essenziali quando, ad esempio, chiudiamo le scuole per il Ramadan, festeggiamo il Ramadan
in oratorio, togliamo il crocifisso dalle aule scolastiche, rinunciamo al presepe e così via? Insomma, è vero che siamo deboli o semplicemente siamo rispettosi delle differenze, incluse quelle culturali e religiose?
Paolo Tresoldi
Caro Paolo,
il rispetto nei riguardi di ciò che è diverso è uno dei valori essenziali del nostro ordinamento, che stabilisce che nessuno può essere discriminato per il genere, la religione, la razza, le idee politiche, eccetera. Essere rispettosi significa accettare tali differenze culturali o religiose. Il rispetto non implica, tuttavia, la rinuncia alle proprie tradizioni allo scopo di non offendere in qualche modo coloro che coltivano altre usanze. Il rispetto non comporta un adeguamento remissivo alla cultura altrui. E questo concetto dovrebbe finalmente essere affermato con vigore e chiarezza. Quella della civiltà occidentale nei confronti dell'Islam è una sorta di resa incondizionata. Da lustri sventoliamo bandiera bianca e ci facciamo colonizzare culturalmente da quelle genti che sul nostro territorio sono ospiti. Quindi, sì, ravviso una specie di debolezza da parte nostra. E tale debolezza deriva da quel politicamente corretto che sta annientando le radici della nostra civiltà. Ci siamo persuasi che essere cristiani e manifestarlo sia insultante verso chi cristiano non è. Il che mi risulta quantomeno folle oltre che pericoloso, tanto più quando si accompagna all'inclinazione a sposare e ad adeguarsi alla religione altrui, ad esempio chiudendo una scuola per il Ramadan. A queste tendenze si aggiunga quella a sputarci sempre addosso: diciamo che in
Italia vige il patriarcato, che i maschi italiani sono assassini, che la nostra società è fortemente maschilista, fascista, razzista, omofoba. Contestualmente, tuttavia, difendiamo una cultura, quella islamica, che è ferocemente omofoba e misogina, basandosi sull'idea che la donna sia inferiore all'uomo e che vada per questo sottomessa, ridotta in schiavitù, trattata alla stregua di un oggetto.
Anche questa mattina ho udito in tv alcuni interventi contro il maschio italiano, che ucciderebbe le femmine molto più di quanto faccia il maschio extracomunitario, che viene quasi santificato. Peccato che si ometta di specificare che sono gli extracomunitari a detenere il record di violenze sessuali e che gli islamici non possono essere presi come modello nell'ambito del trattamento riservato alle donne. Infibulazione, matrimonio precoce, ritiro dalla scuola dell'obbligo delle figlie femmine, imposizione del velo, segregazione domestica, pena capitale comminata a chi si ribella a tutto questo, sono condotte diffuse all'interno delle comunità musulmane insediate sul nostro territorio. Ma la sinistra ci racconta che il patriarcato è italiano, mica islamico.
Colgo l'occasione per parlare di qualcosa di allarmante che i media mondiali, non solo quelli italiani, stanno vergognosamente
trascurando. La condizione delle donne in Afghanistan diventa di giorno in giorno sempre più difficile. Il leader supremo afgano Hibatullah Akhundzada (nome impronunciabile) ha poche ore fa rivolto un messaggio all'Occidente tutto, in cui non soltanto egli ha definito i difensori dei diritti umani occidentali «rappresentanti del diavolo» ma ci ha anche fatto sapere che in Afghanistan si procederà alle lapidazioni in pubblica piazza delle donne sospettate di adulterio. Il tizio ha specificato: «Sono tutte cose che vanno contro la vostra democrazia, ma continueremo a farlo». Un approccio ben differente rispetto a quello di chi in Italia sospende le lezioni per celebrare l'uso del digiuno islamico.
La comunità internazionale non interviene. Le femministe nostrane restano mute.
La sinistra non si straccia le vesti, del resto il nemico delle donne, secondo i progressisti, è il maschio italiano. La nostra unica preoccupazione è quella di prostrarci, di inchinarci, di dimostrarci inclusivi e rispettosi, di piegarci ad una cultura che non ci è aliena, cioè che alla nostra non assomiglia neppure un pochino.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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