Tanto per cambiare, il programma radiofonico La Zanzara, condotto da Giuseppe Cruciani e David Parenzo, è riuscito con la propria forza dissacratoria a trasformare un'opinione in uno scandalo. L'opinione è quella dell'avvocato Piero Longo, deputato del Pdl e difensore di Silvio Berlusconi, il quale ha detto serafico che avrebbe sparato immediatamente a Mada Kabobo, l'africano che ha ucciso a picconate tre persone a Milano, zona Niguarda.
Incalzato dagli intervistatori, impertinenti per esigenze di copione, il professionista ha precisato la propria idea: per fermare quell'individuo ormai scatenato, avrei esploso un colpo in aria e, qualora avesse continuato ad aggredire i passanti, non avrei esitato a premere ancora il grilletto mirando alle gambe. Un discorso di buon senso che tuttavia ha sollevato un polverone; e non poteva essere diversamente in un Paese, qual è il nostro, che ha in orrore le armi e ne considera il possesso un segno di pericolosità sociale.
Già. Qui non è come negli Stati Uniti dove, invece, avere in tasca una rivoltella è normale, essendo riconosciuto a chiunque il diritto a detenere strumenti di difesa. Siamo così davanti a due eccessi, sbagliati entrambi, in quanto portano quasi sempre a conseguenze gravi. Gli americani, abituati a maneggiare armi da fuoco con disinvoltura, spesso le usano a sproposito, arrivando addirittura a compiere stragi di cui ricercare il movente è impossibile. Noi, solo alla vista di un fucile da caccia o di una scacciacani, siamo colti da tremori. La pistola evoca in chi la guarda, magari esposta in vetrina da un negozio di articoli caccia e pesca, l'immagine d'un rapinatore che minaccia di fulminare il cassiere della banca.
Abbiamo talmente in odio qualsiasi tipo di arma da avere costretto perfino i vigili urbani a privarsene. Cosicché qualunque farabutto adesso li può aggredire e, nel peggiore dei casi, travolgerli con il Suv mandandoli al cimitero. Non parliamo dei gioiellieri e dei farmacisti: preferiscono farsi ammazzare piuttosto che rischiare, difendendosi col «cannone», di stecchire un grassatore. Dalle nostre parti, a causa di leggi manicomiali e di chi le applica pedestremente, la legittima difesa esiste soltanto in teoria. In pratica, se spari a un ladro o a un bandito, e questi va all'altro mondo, fili diritto in galera. E si sa che in prigione è facile entrare e difficilissimo uscirne. Ti lasciano lì in cella a marcire e manco ti interrogano. I processi durano un'eternità. Gli imputati fanno una vita d'inferno, spendono una fortuna in avvocati e raramente sono assolti: bene che vada, li condannano per eccesso di legittima difesa, che è un reato.
Se di notte entra un brigante in casa mia e gli tiro, temendo che mi strangoli per rubarmi 1.000 euro, sono cavoli amari. Se il malvivente rimane secco, inutile spiegare che in certi momenti si applica la regola mors tua vita mea. La mentalità dei giudici non è diversa da quella corrente, che non contempla la tutela della tua pelle, ma solo quella di chi vuole fartela. È noto l'imperativo: ama il prossimo tuo come te stesso. Ma converrete che se l'amore non è reciproco diventa un casino.
Tornando a Mada il picconatore, questi per tre ore ha gironzolato in strada massacrando passanti e nessuno ha osato contrastarlo in modo idoneo, cioè con una pistola, allo scopo di neutralizzarlo. Sorprendente? Non direi. Chi gli avesse sparato avrebbe avuto grane spaventose. La consapevolezza che intervenire in certe circostanze con mezzi adatti è fonte di guai spinge all'indifferenza o, meglio, alla prudenza.
Un pazzo furioso impegnato in un'operazione di macelleria poteva giusto essere affrontato dall'avvocato Longo, il cui ragionamento radiofonico non fa una grinza e forse proprio per questo è stato valutato dai più come espressione di cattiveria o almeno di insensibilità. In realtà, egli avrebbe evitato che tre persone cadessero vittime di Kabobo.
Ma questo, secondo la nostra esperienza di cronisti, è secondario: se chi spara è un criminale, la passa liscia; se viceversa è un gentiluomo, ha torto. Ecco il vero scandalo: più comodo sopportare l'ingiustizia che subire la giustizia.di Vittorio Feltri
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