La «linea Berlusconi» prevale in Europa. Certo, è una vittoria postuma ma è difficile interpretare altrimenti l'apertura della cancelliera Angela Merkel a un utilizzo «flessibile» del Patto di Stabilità. Un cambio di rotta, almeno a parole, dopo anni di austerità.
La soglia del 3% nel rapporto deficit/Pil non è un Vangelo, ha spiegato il portavoce della Bundeskanzlerin, Steffen Seibert. Le regole, infatti, consentono di considerare i cicli economici negativi. «Un prolungamento delle scadenze» di rientro «è possibile ed è già stato usato», ha sottolineato ricordando la «clausola sugli investimenti per le riforme strutturali» da verificare nei singoli casi.
Tutto vero. Dal 30 marzo 2005 l'Unione consente ai singoli Paesi una maggiore elasticità in cambio di riforme strutturali. Si tratta della principale conquista ottenuta dall'allora premier Silvio Berlusconi in ambito comunitario. Fu, infatti, il Cavaliere alla fine del 2004 a ottenere la convocazione di un Consiglio europeo straordinario per riscrivere le regole e adattarle al mutato ciclo macroeconomico (il Vecchio Continente risentiva ancora del post 11 settembre). Nonostante le resistenze, la strategia andò a buon fine per quanto riguarda i tempi di rientro del deficit, mentre i veti incrociati bloccarono un'ampia applicazione della golden rule, cioè lo scomputo dal disavanzo della spesa per investimenti in conto capitale.
Insomma, Merkel ha riscoperto quello che era già scritto nel Patto di Stabilità e che era stato sepolto nelle tagliole del Fiscal Compact che pone invece l'accento sul conseguimento forzoso del pareggio di bilancio. Al netto dei laudatores che attribuiranno a Matteo Renzi il merito di questa inversione di tendenza, c'è da chiedersi la vera ragione per cui la Germania abbia cambiato posizione.
È solo Realpolitik. La Cancelliera, avendo trionfato nel valzer delle poltrone della prossima Commissione Ue, ha scelto di concedere qualcosa ai partner. Non va dimenticato che il prossimo presidente dell'esecutivo europeo sarà il candidato del Ppe sponsorizzato da Berlino, il lussemburghese Jean-Claude Juncker. Ai socialisti (capitanati da Matteo Renzi e François Hollande) va solo la conferma platonica della presidenza dell'Europarlamento con il tedesco Martin Schulz. La Germania ha inoltre ottenuto la conferma di Günther Öttinger come commissario all'Energia e avrà un nome gradito per gli Affari economici. È stata perciò scelta la via di un'apertura poco «dolorosa» verso Hollande e soci, esportando la grosse Koalition anche a Bruxelles. Il fronte interno non è, però, rimasto scoperto. «Il Patto deve essere rispettato», ha concluso Seibert. E l'opinione pubblica tedesca può interpretarlo serenamente come «la Germania non spenderà un centesimo per i suoi alleati europei».
Tralasciando i peana nei confronti di Renzi, è utile evidenziare le posizioni di Forza Italia che può giustamente rivendicare il merito storico dell'opera di convincimento. «Cominciamo a raccogliere i frutti della battaglia pro-crescita che costò al governo Berlusconi la scomunica della Ue e dei poteri forti», ha dichiarato Mariastella Gelmini, vicecapogruppo vicario alla Camera, rimarcando la necessità di usare «molta cautela» nei confronti di Merkel. Il presidente della commissione Finanze di Montecitorio, Daniele Capezzone, non ha invece rinunciato all'esercizio della critica.
di Gian Maria De Francesco
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