Un tempo sarebbe salito sulle barricate, stile Gilet gialli. Avrebbe sventolato manette, tipo Marco Travaglio. Di sicuro avrebbe tuonato contro quell’Europa divenuta un “club Med per trombati” (cit. Beppe Grillo). Oggi invece Luigi Di Maio di fronte al Qatargate resta nell’ombra, come ormai da qualche mese, ma con un sorriso in più. Ce lo immaginiamo a stappare champagne. Pare infatti che lo scandalo delle mazzette di Bruxelles possa avvantaggiarlo nella corsa che oggi più lo interessa: la nomina ad inviato speciale nel Golfo Persico.
Giggino ha già sostenuto i colloqui con un panel di tecnici e “si è classificato primo”, come ricorda ad ogni piè sospinto chi lo conosce bene. Certo, molti ironizzano sulle sue competenze: la scarsa esperienza, l’inglese claudicante, i rapporti tesi con alcuni Stati del Golfo. Ma il diretto interessato ci crede davvero. Per questo, dopo la fallita scissione dal M5S e la disastrosa avventura elettorale di Impegno Civico, si è inabissato in quel silenzio utile a chi sogna un posticino al sole europeo e il relativo stipendio da 12mila euro mensili più benefit. L'ultimo ostacolo in fondo si chiama Giorgia Meloni. È vero: la casella in palio è un ruolo tecnico e non politico, quindi in teoria a decidere sarà solo l’Alto rappresentante Ue Joseph Borrell. Però i malumori a Palazzo Chigi non sono mancati. Antonio Tajani lo ha detto chiaro e tondo: quella di Di Maio è “una candidatura personale”, al massimo “dell’esecutivo precedente”. Tradotto: ufficialmente il governo non si opporrà, però non fa neppure i salti di gioia. E comunque tra il dire e il fare c’è sempre di mezzo la realpolitik. Fonti europee non nascondono infatti che “una pressione di Roma su Borrell potrebbe sempre far cambiare la graduatoria”. Tipo Alessandro Borghese e i 4 Ristoranti.
Nelle scorse settimane le quotazioni dimaiane sembravano essere scese in favore di Dimitris Avramopoulos, ex ministro greco, ex commissario europeo e membro del Ppe. Il quale però è stato sfiorato - sebbene molto di striscio - dallo scandalo Qatargate visto che risulta tra i membri onorari della Fight Impunity di Antonio Panzeri, arrestato nell’affaire tangenti. “Avramopoulos era comunque arrivato terzo - spiega una fonte Ue -. Ma sceglierlo ora sapendo che sta nel board di quella Ong si presterebbe a grosse critiche”. Da qui la risalita delle quotazioni di Luigi, benché permanga ancora un dubbio. In pochi conoscono davvero le intenzioni dell’esecutivo italiano.
Ufficialmente “non serve il via libera” di Roma, però “se uno dei Paesi fondatori come l’Italia dice ‘lui no’, allora la sua candidatura torna a rischio”. L’attesa per l'ex incendiario diventato burocrate non sarà lunga: la nomina, dicono i ben informati, verrà ufficializzata “prima di fine anno”. Forse addirittura entro Natale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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