Lo schiaffo del Senato a Rakete: ecco perché rimane a bocca asciutta

La giunta per le immunità del Senato ha negato l'autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini, imputato a Milano per diffamazione nei confronti dell'attivista Ong Carola Rackete

Lo schiaffo del Senato a Rakete: ecco perché rimane a bocca asciutta

Autorizzazione negata. Salvini non andrà a processo per le opinioni espresse su Carola Rackete. Con 10 voti favorevoli, di Lega, Fdi e Fi, 3 contrari (2 del Pd e 1 del M5s) e due astenuti, Ivan Scalfarotto di Iv-Az e Ilaria Cucchi (Avs), la Giunta per le elezioni e le immunità del Senato ha negato l'autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini, imputato a Milano per diffamazione in riferimento ad alcune espressioni sulla comandante della nave Ong Sea Watch 3. I senatori, guidati dal presidente Dario Franceschini - oggi assente - erano chiamati a decidere se le frasi postate sui social dall'allora capo del Viminale, riferite all'attivista tedesca, attenessero o meno alla sfera dell'insindacabilità di cui Salvini gode in qualità di senatore.

Rackete e il processo a Salvini

Tutto era iniziato nell'estate del 2019, dopo che la Rackete aveva forzato il blocco imposto davanti il porto di Lampedusa per far entrare la sua nave Ong con diversi migranti a bordo. In circostanze concitate la comandante dell'imbarcazione umanitaria si era resa protagonista anche dello speronamento di una motovedetta della guardia di finanza (episodio rispetto al quale la sua posizione fu poi archiviata). Dopo quegli accadimenti, sui social Salvini definì la Rackete come "zecca tedesca", "complice degli scafisti e trafficanti" e "sbruffoncella". Per quelle frasi, sul leader leghista era scattato l'assalto legale. Il segretario del Carroccio fu portato in tribunale.

La decisione della giunta

Il processo milanese era stato interrotto lo scorso giugno, in attesa dell'accoglimento della questione preliminare avanzata dal legale di Salvini, Claudia Eccher, nel frattempo divenuta membro laico del Csm. Il giudice monocratico di Milano aveva deciso di inviare gli atti al Senato per valutare l'insindicabilità o meno delle espressioni utilizzate dal leader leghista. E oggi a palazzo Madama la richiesta del relatore (contro l'autorizzazione) è stata accolta. Si spegne così una vicenda che aveva assunto toni roboanti, con Salvini accusato di aver pronunciato un "discorso d'odio".

Le reazioni politiche

"È stata negata l'autorizzazione a procedere conformemente alla redazione. Ho votato a favore e quindi condivido. L'articolo 68 prevede che si individui il fatto che il senatore avesse agito nell'esercizio del proprio mandato. Non compete alla Giunta intervenire in una analisi sulla gravità delle affermazioni, che non ci compete", ha commentato Adriano Paroli, senatore di Forza Italia e membro della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari in Senato. Per me - ha proseguito l'esponente azzurro - "è evidente che quello che ha detto il ministro Salvini in quel caso da senatore o da ministro era nell'esercizio del suo mandato".

Ma la decisione ha scontentato la sinistra. E dal Pd sono scattate le rimostranze.

"È inaccettabile che si utilizzi lo strumento della insindacabilità per proteggere e impedire che vada a giudizio un ministro che si è permesso per un mese e mezzo consecutivo da qualunque canale social e mezzo televisivo di insultare una persona", ha lamentato Alfredo Bazoli, senatore Pd e membro della Giunta immunità parlamentari del Senato, parlando di "decisione vergognosa". Se la questione giudiziaria si è sgonfiata, quella politica sembra invece destinata ad alimentare gli attriti.

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