Milano - Una condanna di cui colpisce «la sconcertante esiguità e fragilità delle argomentazioni», arrivata al termine di un'inchiesta che ha ripetutamente violato la legge. Questa, per Niccolò Ghedini e Piero Longo, difensori di Silvio Berlusconi, è la sentenza che ha inflitto sette anni di carcere al Cavaliere nel processo Ruby. Un processo, dicono i difensori di Berlusconi, basato sul nulla. O meglio sulla caccia a lui, all'ex presidente del Consiglio, colpevole per il solo fatto di chiamarsi Berlusconi: «Se l'alta carica è incarnata da Berlusconi, la presunzione di cattiveria e di capacità vendicativa è insita nel cognome dello stesso risultando, sul piano giuridico, una presunzione assoluta».
Berlusconi, sostiene il ricorso, non fece sesso con Ruby, non la pagò per fare sesso, e comunque non sapeva che era minorenne; di conseguenza, non aveva alcun motivo di intervenire sui vertici della questura di Milano perché la ragazzina venisse rilasciata quando venne fermata, la notte del 27 maggio 2010. Per questo i legali chiedono che la Corte d'appello di Milano annulli la sentenza emessa nel maggio scorso dal tribunale, e dichiari Berlusconi innocente sia dall'accusa di utilizzo della prostituzione minorile che di concussione. D'altronde, scrivono Ghedini e Longo, i giudici che hanno condannato il Cavaliere lo hanno potuto fare soltanto ignorando tutte le testimonianze a difesa, e prendendo per buone solo quelle d'accusa. «Chi teneva un determinato comportamento di accusa nei confronti di Silvio Berlusconi, automaticamente e magicamente avrebbe perduto la qualifica di escort e acquistato quella di povera vittima», mentre «secondo il tribunale tutti i testimoni che non collimano con la ricostruzione accusatoria sarebbero inattendibili perché prezzolati».
E' il tema cruciale, che fa da sfondo anche al nuovo guaio che attende Berlusconi, e che già tra domani e dopodomani potrebbe materializzarsi: l'inchiesta per corruzione di testimoni, nata proprio dalla sentenza che lo ha condannato per il caso Ruby. Insieme a Berlusconi e ai suoi legali, l'inchiesta potrebbe prendere di mira una quarantina di testi della difesa, tutti accusati di avere mentito, per convenienza o per quattrini, quando hanno cercato in aula di scagionare l'ex premier.
E già nel ricorso depositato contro la condanna Ghedini e Longo enunciano quella che sarà la linea difensiva anche sul nuovo fronte: «Molti testimoni non avevano e non hanno alcun collegamento economico con il prevenuto (Berlusconi, ndr). Alcuni sono dipendenti di società da questi possedute, altri sono collaboratori occasionali. Per quanto attiene alle ragazze, dimentica il tribunale che erano già aiutate economicamente ben prima dell'inizio della vicenda processuale e il successivo aiuto economico è continuato in maniera aperta, con bonifici regolarissimi e con dichiarazioni pubbliche plurime, rilasciate proprio dallo stesso Silvio Berlusconi». Nel ricorso si ammette che «si potrà eventualmente ritenere che tali versamenti di 2.500 euro nel corso del processo siano inopportuni», ma si tratta solo di «liberalità».
«Gigantesca anomalia», avevano definito i pm quei versamenti a processo in corso da parte dell'imputato.
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