Roma - La nervosa vigilia dei risultati del ballottaggio di Roma fa venire allo scoperto tutti i malesseri che covano dentro il Pd.
La grande paura di perdere la Capitale riaccende il sacro fuoco della militanza antifascista in giornali come l’Unità: «Fermiamo l’avanzata della destra», chiama alle armi il titolone di apertura. E l’ultimo drammatico appello è affidato all’erede cinematografico di Alberto Sordi: «Francesco ci salvi dalla marea nera», invoca Carlo Verdone, rilanciando la fosca metafora di D’Alema.
Scende in campo anche il Manifesto, e se il titolo è più leggero e come di consueto fantasioso («Nun fa’ la stupida», echeggiando il Rugantino), il messaggio politico è serio: un estremo appello a scongiurare l’elezione di «un sindaco fascista tutta quella sinistra radical, ex Arcobaleno e dintorni, che stavolta potrebbe sentire forte il richiamo delle spiagge anziché delle urne, in odio al Pd e al suo candidato sindaco troppo moderato.
Funzionerà? Il risultato è in bilico e molto dipenderà da chi riesce a trascinare più elettori in cabina, e al loft si attende col fiato sospeso. Ma intanto i malumori dilagano, tra le varie correnti in guerra tra loro.Ad esempio: c’è uno dei maggiorenti dell’ala ex Ppi, Beppe Fioroni, che evoca spesso, con preoccupazione, gli allarmanti scricchiolii del «modello Roma» anche perché (spiegano i maligni) punta dritto dritto alla cruciale poltrona di Goffredo Bettini, coordinatore del Pd veltroniano. Una posizione da cui si governerà nei prossimi mesi l’organizzazione del partito. In caso di sconfitta nella capitale è facile prevedere che proprio Bettini sarebbe il primo ad entrare nel mirino della resa dei conti interna, e Fioroni si prepara. Ma dal loft gli replicano per le rime: «Invece di pensare tanto al modello Roma, dove Rutelli ha preso il 46% e il Pd il 41%, farebbe meglio a spiegarci il modello Viterbo... », dicono acidi. E ricordano che l’ex ministro dell’Istruzione, che di Viterbo fu sindaco, «ha fatto di tutto per farsi costruire lì il terzo aeroporto laziale, manco fosse il La Guardia di New York; ha voluto la candidatura a sindaco di Sposetti e ha preso solo il 33%: ma di che stiamo parlando?».
Intanto, tutta l’area della ex Margherita è in agitazione: le ambizioni di Fioroni mettono a rischio la candidatura di Marini a presidente del partito, peraltro osteggiata dal vice di Veltroni Dario Franceschini, che non vuole essere oscurato da un secondo cattolico di peso ai vertici. E la partita dei capigruppo, di cui si comincerà a discutere oggi nell’assemblea dei parlamentari, sta diventando il terreno di battaglia contro il rischio di «egemonia diessina». «È impossibile che chi ha il 60% dei parlamentari prenda tutto, ci preoccupa questo ritorno alle bandiere rosse», denuncia il senatore ex Dl Gustavino, paventando «un binomio Finocchiaro-Bersani» ai vertici dei gruppi. E un altro margherito, Merlo, denuncia «segnali preoccupanti»: «Dalla riesumazione delle bandiere rosse a Torino alla questione capigruppo, alla tesi ridicola che solo esponenti ex ds riescono a garantire un vero confronto con l’Udc». L’obiettivo del Pd, avverte, «non può essere il Pci del ’76». I cattolici sono in ambasce, temono uno spostamento a sinistra del Pd in chiave socialdemocratica, temono la strategia di dialogo con l’Udc su cui puntano i dalemiani e che potrebbe portare al tandem Bersani-Follini ai vertici Pd di Camera e Senato facendo fuori la Margherita.
Intanto i radicali (nove eletti, e anche i loro voti peseranno nella scelta dei capigruppo) avvertono che devono ancora «valutare» se iscriversi al gruppo Pd, visto che «è stata fatta una deroga per Di Pietro, al contrario di quanto detto in campagna elettorale», come spiega la segretaria Rita Bernardini. Acque agitate a dritta e a manca, insomma, e se Roma facesse «la stupida» a Veltroni toccherebbe fronteggiare una vera tempesta.
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