Questa mattina, gli studenti che si sono recati regolarmente all'università Statale di Milano l'hanno trovata chiusa o, meglio, occupata dai soliti antagonisti e collettivi che impediscono la fruzione degli spazi universitari. Si chiama interruzione di pubblico servizio ed è una prassi sempre più consolidata, per le ragioni più disparate che diventano pretesti per bloccare le lezioni. Gli ingressi sono stati sbarrati dall'interno ed è stato impedito a studenti, professori, ricercatori e lavoratori in generale di fare ingresso nella struttura di via Conservatorio.
"Oggi arrivo in Facoltà e questa è okkupata. Da persone che non sono neanche iscritte alla stessa. Si impedisce a me di lavorare, il che implica che non posso dare lezione a 140 studenti. Che hanno preso mezzi per venire. Che fanno sacrifici per pagare l’iscrizione. Bravi. Tutti", è la denuncia di Luigi Curini, professore della facoltà di Scienze Politiche. Quando il docente dice che l'università è occupata da "persone che non sono neanche iscritte alla stessa" fa riferimento ai soliti gruppi ormai ben noti che appartengono all'ala di estrema sinistra e ai centri sociali, che approfittano della causa palestinese per generare il caos. "Stamattina la sede di via Conservatorio è completamente occupata da un collettivo di sinistra composto da persone che nella maggior parte dei casi non sono nemmeno iscritte all'università. Da quanto si dice, l'occupazione potrebbe durare anche più di una settimana. È inaccettabile che chi vuole studiare si trovi ostaggio di gruppi ideologici che paralizzano le lezioni, con la complicità di una Rettrice che si rifiuta di far intervenire le forze dell'ordine", è la lamentela di uno studente raccolta da Welcome to Favelas. "Pago tasse universitarie salate, affronto ogni giorni quattro ore di viaggio tra treno e metro, e nel poco tempo libero che mi rimane devo lavorare per mantenere tali spese", è la lamentela.
Come se non bastasse, in uno dei cartelli che sono stati affissi per il "bar", oltre alle birre a 2 euro e agli amari a 3 euro, viene indicato anche "sbirri morti 3 euro". Questi sono "buoni" che chiedono la pace in Palestina. "Una sorta di menù di un improvvisato bar ovviamente abusivo che tra le birre e gli amari riporta anche la dicitura "sbirri morti a 3 euro". Tutto questo accade in un ateneo pubblico, in una delle città più importanti d'Italia: la sinistra, almeno stavolta, condannerà lo scempio? La rettrice cosa aspetta a far intervenire le forze dell'ordine per sgomberare l'occupazione?", dichiara Silvia Sardone, vicesegretario della Lega. Nella sua nota, l'europarlamentare rimarca che "quelle locandine sono l'ennesimo sputo sulle divise da parte dei tanti amichetti della sinistra (non solo quella estrema): intollerabile in un Paese civile".
Domenico Pianese, segretario del sindacato Coisp, ha sottolineato che questo cartello non è solo "uno sfregio" perché "è un messaggio politico preciso, un segnale di chi considera la violenza contro la Polizia una forma legittima di militanza. E finché continueremo a tollerare questo veleno nelle università, e più in generale nei luoghi in cui si formano le future generazioni, il messaggio che passerà è che si possa augurare la morte di un agente senza conseguenze". Anzi, ha aggiunto, "che ci sia persino chi trova in tutto questo ironia o genialità. Chi espone o difende simili messaggi non esercita un diritto ma contribuisce a scavare un solco sempre più profondo tra lo Stato e chi lo serve ogni giorno. Perché se un poliziotto vale ‘3 euro’ allora la legalità vale zero. E a quel punto nessuno potrà più dirsi al sicuro". La stessa condanna è arrivata da Valter Mazzetti, segretario generale del sindacato Fsp, per il quale "non ci sono parole per descrivere la vergogna dei soliti debosciati che utilizzano ogni scusa per vomitare il loro odio su chi, indossando la divisa, rappresenta l’Italia, le sue istituzioni, e si spende per i cittadini". Quel che colpisce di più, ha aggiunto, è che "n favore di questi scempi c’è anche un atteggiamento di evidente giustificazionismo, di indifferenza quasi, anche da parte di chi non compie gesti assurdi o criminali in prima persona.
Lo abbiamo visto ancora in questi giorni di follia, in cui cortei e manifestazioni hanno causato danni e devastazioni di città messe a ferro e fuoco, eppure tutto è stato solo vagamente riportato nella maggior parte dei casi da reportage sfocati di ‘occhi alquanto disattenti’, a cui non potevano sfuggire le migliaia di manifestanti pacifici – e apprezzabilissimi -, ma sono un pochino sfuggiti i 123 feriti in divisa".