I miei amici mi avevano detto che una parte del Deserto dei tartari sarebbe stata girata in Iran. Era stato Jacques Perrin a scegliere il posto, una cittadella medievale in mezzo al deserto nel Sud-Est, chiamata Bam. Perrin, che era coproduttore del film e molto amico del regista, Zurlini, aveva girato mezzo mondo per scovare un posto simile a quello che aveva immaginato Buzzati... Un giorno, sorvolando il mio Paese da un aereo, vide la fortezza di Bam e disse: «È qui». Quando mi chiamarono per far parte del gruppo ero tornato dall'Italia da un anno: ero uno dei pochi a parlare italiano e, in più, avevo studiato cinema; ero già disegnatore e lavoravo in televisione come documentarista. Il lavoro era come traduttore e aiuto scenografo, perché Giancarlo Bartolini Salimbeni era anziano e aveva bisogno di un collaboratore locale: si era occupato delle scene di interni, girate a Cinecittà, ma non poteva fare molti viaggi in Iran. Così lo incontrai, parlammo e, alla fine, quasi lasciò il lavoro nelle mie mani, nel senso che toccò a me, per esempio, fare alcune modifiche al tipo di architettura previsto, troppo occidentale per il contesto in cui era inserito. Mi occupai anche della realizzazione di alcune strutture e ambienti e, per questo, mi recai nella cittadella sei mesi prima dell'inizio delle riprese: una delle costruzioni più importanti è stata quella del bastione militare, distante 50 km in mezzo al deserto, che abbiamo edificato con materiali veri, per resistere al vento fortissimo. Arrivavano camion militari in mezzo al deserto, carichi di materiale, mattoni, putrelle, fango, ferro... Dopo le riprese fu acquistato dalla gendarmeria iraniana.
Bam era fatta di argilla, paglia e fango, materiali primitivi e bellissimi che, purtroppo, non hanno resistito al terremoto del 2003, e la cittadella è andata distrutta. Per le riprese del film ne avevamo restaurato alcune parti, avevamo sistemato il cortile e costruito un cimitero militare. Oltre a offrire ospitalità e alloggio, l'Iran aveva contribuito anche con cavalli e soldati dell'esercito, come comparse. Sul set non si videro Gassman, o Noiret, ma molti altri attori celebri sì, come Von Sydow, Gemma, o Rabal e Griem, con i quali andavamo in giro, a visitare città e bazaar. E poi c'era Perrin, sempre presente, che controllava tutto. Perrin mostrava una profonda ammirazione per Zurlini, come se fosse il suo maestro. E Zurlini, da parte sua, non sbagliava mai, non doveva mai modificare una scena. L'unica preoccupazione sul set era il cibo: Von Sydow mangiava quello iraniano, ma Tovoli, il direttore della fotografia, e altri italiani dell'équipe, pretendevano che gli portassero cibo italiano, con l'aereo di linea... In quegli anni ce lo si poteva ancora permettere... Ma, nonostante fossimo in mezzo al deserto, per i due mesi di riprese non ci furono particolari difficoltà. Ci fu solo una tempesta di sabbia che ci bloccò per quattro giorni, e poi toccò abituarsi al cielo troppo azzurro: era così terso, per via dell'aria secca, che l'azzurro si rifletteva sulle superficie e si dovette usare un filtro per eliminarlo. Incredibile.
A volte con Zurlini, Franco Stivali, capo tecnico per gli arredi e Tovoli prendevamo una jeep militare e ci avventuravamo dentro il deserto: Zurlini portava delle bottiglie di vino, italiano ovviamente, poi si sedeva per ascoltare il
silenzio e guardare apparire le prime stelle. Un paio di volte l'ho visto piangere in silenzio... Erano gli ultimi anni della monarchia, poi queste cose sarebbero diventate impossibili, sarebbe stata tutta un'altra storia.
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