Gli irriducibili che hanno deciso di morire Dc

Gli irriducibili che hanno deciso di morire Dc

Roma Riecco Pierferdy, che stavolta torna a far sventolare il suo scudocrociato dalle colonne di La Repubblica. Riecco i centristi che si rimettono ancora una volta in moto, riecco il fantasma immortale della Diccì. Secoli fa - politicamente parlando - il manifesto di Luigi Pintor lanciò un tormentone destinato a scolpirsi nelle varianti della politica italiana: «Non moriremo democristiani». Era il grido rabbioso della sinistra afflitta dal dominio incontrastato della Democrazia cristiana nella prima Repubblica. Da quando la Dc si è autodissolta, dopo l’uragano di Tangentopoli, l’adagio si è volto nel suo contrario, e «Moriremo democristiani», è diventato lo slogan di chi continua a immaginare imminenti resurrezioni del centrismo, pre-post- o neo-democristiane, e a lamentare che i due poli sono intasati di nostalgici dello scudocrociato, sempre ben piazzati per i ruoli di leadership (sia in un campo che nell’altro).

Francesco Rutelli, il sogno neodemocrisitano lo ha persino parafrasato, ribattezzando la sua aspirazione centrista con un altro termine: «Alleanze di nuovo conio». E ieri, con la sua intervistona a La Repubblica, Pierferdinando Casini ha dato fuoco alle polveri, spiegando che non si tratta solo di una amena intenzione, ma di un progetto politico serio: «Noi siamo impegnati - ha detto - non solo a superare l’Udc, ma a creare contenitori nuovi che cancellino lo schema bipartitico, una forzatura sia a destra che a sinistra». Più chiaro di così.
È la prima volta, a dire il vero, che un leader di primo piano esce dalle fumisterie e dal gioco dei segnali in codice. E quindi le parole di Casini meritano di essere pesate una a una: «L’Udc alle elezioni è stato eroico - osserva l’ex presidente della Camera - ma oggi sopravvive perché ha una prospettiva politica. Non lavoriamo con lo spirito egoistico di chi cerca di allargare il proprio partito, ma con l’idea di andare avanti per fare una cosa nuova che serve all’Italia».

Una cosa nuova, una cosa bianca. Una partito che punta a rimodellare gli schieramenti attuali, associandosi con l’anima centrista del Pd. Anche su questo punto, le parole di Casini sono esplicite, non restano nell’indeterminatezza, ma indicano nomi, cognomi, e possibili interlocutori: «Con Rutelli e Letta, non è un segreto, registriamo maggiori affinità. Però fanno benissimo a lavorare nel Pd, di cui sono fondatori, perché prevalgano le loro posizioni». Se le posizioni non dovessero prevalere, è il corollario che bisogna dedurre dalla raffinata lingua democristiana casiniana, l’Udc è pronta a fare la sua parte.
Qualcuno che queste conclusioni le ha già tratte, dentro il Pd, c’è già. Ed è il presidente della provincia autonoma di Trento Lorenzo Dellai. Da giorni Dellai (che fu considerato un precursore del Pd, con il suo Ulivo!) è entrato in rotta di collisione con la leadership veltroniana. Ieri, dalle colonne de La Stampa ha rilanciato: «Per tornare a vincere anche a Roma serve una ristrutturazione del campo politico: accanto al Pd, serve un nuovo Centro riformatore».

Ma la vera novità è che anche dentro la componente diessina del Pd si sta facendo strada l’idea di una separazione (se non consensuale, inevitabile) fra l’anima cattolica e quella laica del partito. Il primo a rompere il tabù, in tempi non sospetti, era stato il tesoriere dei Ds Ugo Sposetti, che era ricorso alla metafora del matrimonio con beni separati: «Luigino e Ughetta, che sono io, vanno all’altare poveri in canna, ma se Ughetta ha un po’ di patrimonio e Luigino ha un po’ di soldi, quel che devono dire al sindaco è separazione dei beni». Allora si gridò allo scandalo, adesso c’è chi benedice Sposetti e le sue fondazioni. Se alle europee il Pd dovesse scendere sotto il trenta per cento sono molti a scommettere che si tornerà ad un centrosinistra, organizzato su due gambe: quella di sinistra dei Ds, e quella centrista della cosa neodemocristiana. Anche perché, con la scissione di Rifondazione e la nascita di La Sinistra (il cartello che mette insieme Fava, Mussi e l’area Vendola), si crea un concorrente pericoloso per il Pd fin dalle prossime europee.

Così, se il cataclisma è

previsto per giugno, i primi passi non possono che essere mossi fin da ora: «Nessuno ci corre dietro - chiosa Casini -. Ma vogliamo smantellare quello che c’è». Moriremo, sicuremente. E forse con un nuovo conio democristiano.

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