A Gerusalemme, per spiegare linnamoramento di Israele per lItalia a seguito della visita del premier Silvio Berlusconi, qualcuno lo ha paragonato allinnamoramento della Francia negli anni Cinquanta. Cè del vero in questo accostamento ma anche molta infondata immaginazione. Lintenso lavoro diplomatico della Farnesina e del nuovo ambasciatore dItalia Luigi Mattiolo ha portato alla firma di una dozzina di accordi bilaterali - dalla scienza alla sicurezza, dallindustria allambiente, dalleconomia alla cultura.
Non basta a spiegare il capovolgimento emotivo radicale prodotto dal viaggio di Berlusconi sulla cui scia ci si domanda ora, qui, quali effetti extra bilaterali potrà avere.
Il «colpo di fulmine» con cui il premier italiano ha conquistato il cuore degli israeliani si spiega (anche tenendo conto dellopinione tuttaltro che positiva che qui si ha di lui) con lansioso bisogno di questo popolo - così ingiustamente minacciato di delegittimazione sul piano dellimmagine internazionale nonostante il suo reale peso politico, militare e scientifico - di sentirsi amato. È qualcosa di differente dal sentirsi rispettato e temuto. È il sentimento che, nella sorpresa generale, il premier italiano è riuscito a dare contrariamente alla Francia. Anche nei momenti di maggiore intesa (ad esempio nelloperazione del Sinai del 1956) Parigi mantenne sempre una posizione ufficialmente riservata a causa dei suoi interessi nel mondo arabo. «Israele spiegava allora ai diplomatici israeliani che il Quay dOrsay deve accontentarsi del ruolo dellamante, cui si regalano gioielli (come la cooperazione nel campo nucleare) ma che non si saluta quando si passeggia con la moglie per i Campi Elisi».
Berlusconi ha dato limpressione di essere il contrario di Guy Mollet, il premier francese socialista, sindacalista, politicamente debole, prudente, interessato a Israele soprattutto per fare la guerra al presidente egiziano Gamal Abdel Nasser, considerato erroneamente come sobillatore della rivolta algerina. Estroverso, politicamente sicuro di sé, è arrivato accompagnato da sette ministri deciso a parlare senza peli sulla lingua ad ambo le parti. Ha conquistato il cuore e la fiducia degli israeliani, incluso quella dei critici di sinistra, riconoscendo e ammirando il coraggio e la determinazione dei suoi ospiti.
Con il fare deciso dellimprenditore che tanto piace agli israeliani ha denunciato laggressività dellIran, riconoscendo il diritto inalienabile di Israele di vivere in pace come Stato ebraico.
Prima di fare visita al presidente palestinese ha ricordato al governo di Gerusalemme che gli insediamenti rappresentavano un ostacolo, che la Shoah resta un crimine unico, incancellabile ma che la tragedia palestinese ha essa pure la dimensione di catastrofe nazionale. Affermazione questa che a molti in Israele non è piaciuta ma che è stata «digerita» anche dalla destra proprio per il senso di amicizia nuova, intima e onesta che il premier ha creato con una spontaneità che ha sorpreso e entusiasmato.
È dunque naturale che oggi, qui, anche persone che per ragioni storiche e politiche dellItalia non hanno mai avuto molta fiducia si chiedano: «È possibile che Berlusconi, questo personaggio così sorprendente e imprevedibile riesca a smuovere le acque stagnanti di un conflitto dove tutti gli altri hanno fallito?».
Per il momento risposte non ci sono. Ci si rende conto a Gerusalemme che lItalia non può agire da sola a livello internazionale.
Può aprire qualche strada allUnione europea (qui ritenuta impotente e spesso ostile) e agli Stati Uniti (oggi troppo impegnati altrove) per rilanciare il processo di pace. Sarebbe infatti difficile per il primo ministro Benjamin Netanyahu, nella scia dellinnamoramento dellopinione pubblica locale per lItalia dire no a Berlusconi (specie se è vero che questi lo ha aiutato nel suo recente viaggio a Mosca).
Sembra più facile per i palestinesi usare la mediazione italiana piuttosto di quella americana (o francese o turca) per uscire dal loro rifiuto di riprendere i negoziati di pace.
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