A Israele la storia ha chiesto troppo

A Israele la storia ha chiesto troppo

Il cessate il fuoco, incerto, insicuro, è cominciato qualche giorno fa e vediamo dalle immagini della Tv che i primi soldati israeliani lasciano il Libano e rientrano in patria. Hanno l'aria festosa, fanno con l'indice e il medio il gesto che da Churchill in poi celebra la vittoria. Questi soldati, giovanissimi, pensano a una licenza nella quale torneranno sia pure per breve tempo a rivedere le loro famiglie.
Le foto che occhieggiano dalle pagine dei giornali, ci mostrano anche il ritorno dei libanesi che tornano al sud, alle terre abbandonate per fuggire la guerra. E hanno anch'essi l'aria festosa. Speriamo che duri, per gli uni e per gli altri.
Comincia sui giornali il giuoco un po' facile, e prematuro, del chi ha vinto e chi ha perso. E c'è chi ritiene che a non aver vinto questa volta siano gli israeliani, e ne trae illazioni. Si legge su qualche giornale che la guerra nel Libano ha segnato la fine dell'invincibilità dell'esercito d'Israele. Ma non è mai esistita nessuna invincibilità (noto per pura associazione che l'antisemitismo si è nutrito, in passato, del mito di una pretesa superiorità nel male degli ebrei). L'esercito di Israele ha fatto il miracolo di salvare lo stato ebraico nel 1948, nel '67, nel '73, e nella resistenza di mezzo secolo al terrorismo, per altre ragioni. Tsahal, l'armata israeliana, è stata ed è un esercito di popolo: lo Stato ebraico non ha potuto permettersi un esercito di professionisti, il suo è un esercito di leva, vive del sacrificio dei giovani, tre anni di coscrizione dai 18 anni in poi, due per le donne.
Ho vissuto come inviato la guerra del 1973 e ho il ricordo nitido di una immagine. Percorrendo la strada che dalla costa mediterranea conduceva al fronte del Sinai, giunto all'altezza di una corona di colline, il Gida Pass se ricordo bene. Mi colpì lo spettacolo di centinaia, forse migliaia di automobili, motociclette, veicoli abbandonati in un enorme parcheggio. Mi spiegarono che erano stati lasciati lì dai soldati che, ascoltata alla radio la notizia dell'invasione egiziana, erano affluiti ai posti di raccolta, che ognuno di loro conosceva. Questa prontezza nella mobilitazione servì a fermare l'impeto dell'armata egiziana che aveva superato il canale di Suez. Lo stesso avvenne dall'altra parte della frontiera, nel nord ove fu respinta l'offensiva siriana che si affacciava dal Golan sulla Galilea. La guerra del Kippur, la più pericolosa fin lì per lo stato ebraico, durò qualche settimana, fu vinta da Israele, e penso che lo fu in quei primi giorni che fermarono il cammino di due potenti armate.
Non ci fu nessun miracolo, se non quello di un esercito di popolo, a salvare Israele, uno Stato che si stende su un territorio terribilmente limitato, le poche ore di auto necessarie per percorrere la strada che dal Sinai a sud conduce al Golan. Ora la situazione si è fatta terribilmente più difficile: nel Libano lo Tsahal non ha incontrato un esercito regolare, ma un esercito di fantasmi armato di armi micidiali in grado di colpire la metà del Paese.

Ne sono caduti su Israele, in un mese, quattromila, costringendo due milioni di israeliani, ebrei o arabi, a vivere nei rifugi.
Penso al giudizio supponente di D'Alema secondo il quale la reazione di Israele fu «sproporzionata» alla minaccia. A quale popolo fu mai chiesto tanto, nella Storia?
a.gismondi@tin.it

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