Kabul sotto attacco Sfida talebana alla Nato

Al Qaida schiamazza, i talebani colpiscono. Se a New York e in Europa si può tirar il fiato a Kabul bisogna tornar a preoccuparsi. I fatti lo dimostrano. Il comunicato audio con cui Ayman Zawahiri, successore di Osama Bin Laden, promette con un giorno di ritardo sull’11 settembre un’«inevitabile vittoria» è solo vuota propaganda. L’ultimo gemito di un’organizzazione al tracollo. L’assalto alla zona delle ambasciate di Kabul messo a segno ieri dai talebani è invece faccenda più grave. Il raid, costato la vita a tre poliziotti afghani e a tre terroristi, dimostra che i talebani riescono a farsi beffe di quelle forze afghane a cui la Nato sta demandando, dall’inizio della “transizione”, il controllo della capitale. L’attacco scatta verso le 13 nella zona di piazza Abdul Haq, una rotatoria che fronteggia la zona delle ambasciate e il quartier generale della Nato. Mentre due kamikaze si fanno esplodere un gruppo di guerriglieri uccide due agenti e conquista il controllo di un grattacielo in costruzione. Da quella torre di cemento i due attaccanti sopravvissuti alla prima fase dell’assalto bersagliano il quartier generale della Nato - distante 500 metri - e la rappresentanza statunitense. L’ambasciata italiana, seppur non distante, resta fuori portata.
L’attacco prolungatosi nella notte e scattato a due giorni dall’11 settembre è un vero e proprio colpo alla strategia della Nato e ai piani di chi ipotizza un ritiro dall’Afghanistan entro il 2014. Proprio a questo puntano, probabilmente, i suoi organizzatori. Infiltrare un commando armato nel cuore di Kabul due mesi dopo l’avvio della “transizione”, la fase in cui la Nato sta iniziando a passar le consegne agli afghani, significa dimostrare l’impreparazione di questi ultimi. E se le unità di esercito e di polizia destinate alla difesa di Kabul sono fra le meglio addestrate c’è da chiedersi quali siano le capacita delle seconde scelte, ovvero delle unità a cui spetta la difesa di altri importanti centri del Paese.
Il raid è anche una beffarda risposta alla sicumera del nuovo ambasciatore americano Ryan Croker, autore di un articolo del Washington Post in cui sostiene che «l’unico problema di Kabul è il traffico». Le affermazioni del diplomatico scelto da Obama per gestire la “transizione” risultano ancor più affrettate a fronte della sequenza di attacchi dell’ultimo mese. Alla vigilia dell’11 settembre un camion bomba è esploso davanti ad una base delle forze speciali americane spedendo all’ospedale un’ottantina di soldati d’elite. L’“anello d’acciaio” - la fascia di sicurezza studiata da Nato ed esercito afghano per garantire l’impenetrabilità di Kabul - era già stata violata il 19 agosto quando i talebani assaltarono la sede del British Council.
Il susseguirsi degli attacchi apre inoltre seri interrogativi sull’efficacia dei negoziati tra Nato e talebani ammessi ad agosto dallo stesso Mullah Omar. L’esperienza insegna che gli attacchi più devastanti alla capitale non portano la firma del mullah guercio, ma del clan Haqqani, la fazione talebana più infiltrata dai servizi segreti deviati del Pakistan.

La pace con il Mullah Omar rischia dunque di non garantire la fine degli oscuri giochi di Islamabad. Gli ex protettori occulti di Bin Laden e Al Qaida potrebbero ora scommettere su una sola fazione talebana. E per farla vincere basterà attendere l’addio della Nato a Kabul.

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