Kaczynski, l’anticomunista odiato a Mosca e in Europa

Col gemello Jaroslaw ha portato Varsavia vicino a Washington. Voleva lo scudo spaziale. Rischiò di far saltare l’accordo per il trattato Ue di Lisbona. Considerato un politico controverso, era al 20% dei consensi e sempre più isolato

Kaczynski, l’anticomunista odiato a Mosca e in Europa

Un nazionalista appoggiato dai conservatori. Fortemente criticato dai liberal. Il suo stesso premier non gli ha risparmiato parole forti. Anticomunista nel midollo, in dichiarata contrapposizione con Mosca. Euroscettico al punto da diventare pietra dello scandalo all’interno della stessa Ue. Lech Kaczynski era un presidente controverso, che gli ultimi sondaggi davano al 20% dei consensi, ad appena sei mesi dalle prossime presidenziali. Eppure ieri la Polonia tutta era riunita spiritualmente intorno al palazzo del capo di Stato. Intorno a un lutto che arriva non solo inaspettato, ma con una tempistica e una logistica feroce. Nell’anniversario del massacro di Katyn, la foresta russa dove la Nkvd, la polizia segreta di Stalin, massacrò 22mila ufficiali polacchi presi prigionieri dopo l’attacco nazista-sovietico alla Polonia. A pochi chilometri da quel luogo che è una ferita aperta per i polacchi. Nell’anno storico del mea culpa russo, con cui si è riconosciuto l’eccidio di Katyn come un «crimine dello stalinismo».
Lech Kaczynski avrebbe compiuto 61 anni il prossimo 18 giugno. Nasce, col fratello Jaroslaw, il 18 giugno 1949 a Varsavia. E all’ombra del gemello, aggressivo e populista, vero stratega della loro ascesa politica, si impone gradualmente nell’arena politica con toni che sono fin dall’inizio duri. Le mezze tinte non fanno per lui. Nel 1971 si trasferisce dalla capitale a Danzica, dove insegna Diritto del lavoro all’Università locale. Negli anni ’70, sotto il regime sovietico, milita nelle file dell’opposizione democratica, collaborando con il Comitato della difesa degli operai (Kor). Durante gli storici scioperi dell’agosto 1980, nei cantieri navali di Danzica, diventa uno dei consiglieri del leader di Solidarnosc Lech Walesa. Entra in Parlamento nel 1989, anno in cui diventa vicepresidente ed è il più stretto consigliere di Walesa quando diviene presidente nel 1990. Basta un anno, però, per allontanarlo dalle posizioni «troppo moderate» del carismatico sindacalista, che innescò il crollo dell’Impero sovietico. Nel 1991, quando Walesa è già presidente, Lech Kaczynski, insieme al fratello, abbandona la cancelleria del capo dello Stato e comincia a criticarlo apertamente.
Da allora l’agenda politica dei «gemelli che rubarono la luna» (dal titolo di un film di successo che li vide protagonisti) seguì l’obiettivo di fare opposizione alla corrente democratica di Solidarnosc (capeggiata dalle figure storiche del dissenso, da Bronislaw Geremek a Tadeusz Mazowiecki) e di formare consensi intorno alla loro creatura: la formazione di stampo nazionalconservatore, Prawo i sprawodliewosc (Legge e giustizia). Nonostante la professione di fede nei valori tradizionali della Chiesa cattolica, da sindaco di Varsavia, nel 2002, si pronuncia in favore della reintroduzione della pena di morte. Sempre come primo cittadino della capitale vieta per due volte la gay parade, attirandosi accuse di omofobia. Ma la scelta populista paga. Nel 2005, dopo una campagna elettorale in cui sostiene che la Polonia post comunista deve andare incontro ad una radicale trasformazione verso la Quarta Repubblica basata sulla giustizia sociale e uno Stato forte, Lech Kaczynski viene eletto presidente e Jaroslaw nominato premier. Per uno della sua generazione l’anticomunismo si identifica tout court con un indelebile sospetto nei confronti di Mosca. Il presidente si getta nelle braccia degli Stati Uniti di Bush jr, sostenendo il progetto dello scudo anti-missile. La Polonia si attira le ire della Russia e di Bruxelles. Al negoziato per il Trattato europeo, per difendere gli interessi nazionali, il presidente rischia di far naufragare l’accordo.
Il vento cambia nel 2007, quando al premierato arriva il liberalconservatore Donald Tusk.

È a lui che si deve la tenuta della Polonia nel quadro della grave crisi economica e la ricucitura con la Russia e l’Ue. Lech Kaczynski era ormai un presidente isolato, che la morte violenta e il proverbiale fatalismo storico polacco, però, contribuiranno probabilmente a trasformare in mito.

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