da Mantova
Se Kiran Desai, 35 anni, fosse rimasta in India a passeggiare tra le merde di vacca sacra, bagnarsi nei fiumi melmosi e fustigare gli indiani di casta inferiore non avrebbe fatto un soldo di danno e, a quanto pare, sarebbe stata più felice. Invece se nè venuta in Occidente, vive a New York dove bivacca alla grande a spese della sua ricca famiglia indiana, scrive un libro ogni otto anni, mangia sushi e, naturalmente, sputa sul Paese che la ospita e sullOccidente colonialista distruttore delle altre civiltà.
Kiran Desai domenica sarà al Festivaletteratura di Mantova. Date le ultime interviste rilasciate, linvito era scontato. La sua ultima fatica: Eredi della sconfitta (Adelphi, pagg. 391, euro 19,50, traduzione di Giuseppina Oneto) le ha fruttato unanimi riconoscimenti da parte dellintellighenzia di sinistra globalizzata. Ogni volta lei ripete le basi del luogocomunismo spicciolo di scuola carusiana. Tipo: «Il sogno americano esiste grazie ai ragazzi che fabbricano t-shirt in Cambogia», oppure «Dobbiamo ricordarci che chi investe in India lo fa per cercare manodopera a basso costo, mentre i profitti vanno a chi ha la casa ad Aspen».
Kiran ha capito qualche anno fa che, se vuol far fortuna con i suoi romanzi, deve ingraziarsi gli intellettuali sinistri. Perciò ha abbandonato la scrittura degli esordi, ambientata nei miti e nelle favole di unIndia senza tempo (quella un po onirica di Hullabaloo in the Guava Orchard che non le aveva portato fortuna di critica) e si è gettata a capofitto nel politicamente corretto: immigrazione, alienazione, occidente-distruttore-di-civiltà, sputi-in-faccia-al-sogno-americano.
Kiran ha imparato bene la lezione. Per tutto il libro si lamenta dello scompiglio che gli inglesi - con il loro abbozzo di regole democratiche - hanno portato nella cultura indiana. La sensazione è talmente forte che è forse lunica a rimanere intatta dopo aver finito di leggere il libro: «si stava meglio quando si stava peggio». Perché gli indiani di buona famiglia portati a studiare in Inghilterra, al loro ritorno in patria sono pesci fuor dacqua. E quelli di basso lignaggio, che prima avevano come unica prospettiva la servitù, oggi hanno grilli per la testa e vogliono tentare la fortuna in America. Insomma la democratizzazione e loccidentalizzazione sono una jattura, per i ricchi e per i poveri.
Eredi della sconfitta è la storia di Sai, unadolescente indiana orfana appena uscita di collegio che va a vivere con lanziano nonno, uno scorbutico ex giudice dellamministrazione britannica. La storia si svolge a Kalimpong, alle falde dellHimalaya orientale. Sono gli anni 80 e sullo sfondo cè la rivolta per lindipendenza del Gorkaland. Sai, discendente di una famiglia di casta superiore, sinnamora di Gyan, giovane di umilissime origini che le fa da precettore. Lidillio si spezza perché un giorno Gyan vede alcuni suoi vecchi compagni manifestare a favore del movimento indipendentista nepalese e, improvvisamente, scopre la sua coscienza di classe o, meglio, di casta.
Per chi non avesse ben capito il messaggio, la Desai ritrae altri personaggi. Come il cuoco, da decenni a servizio del giudice, quasi perversamente innamorato delle sue «catene» di servo, che invoca su se stesso punizioni esemplari quando sbaglia. E Bijou, il figlio del cuoco, che lascia lIndia, va a cercare fortuna e a spezzarsi la schiena nei retrobottega di New York, ma tornerà sconfitto a capo chino dal padre. Perché il sogno americano non esiste. E vive meglio il servo di chi si illude di poter aspirare ad una vita migliore.
Alla fine però ha ragione la giovane Desai: lelogio del Terzo Mondo sfigato, classista, sessista e povero tira. E fa vincere il «Booker Price», uno dei premi letterari più importanti del mondo. Quello stesso premio che la madre di Kiran, Anita Desai, ha spesso sfiorato e mai conquistato.
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