L’ex atleta: trattati come un numero

"É lo sport...". Ci si nasconde sempre dietro questa banalità quando succedono queste tragedie. E i padroni dei Giochi risolvono tutto nascondendosi dietro un minuto di silenzio

Ho iniziato la mia nona Olimpiade dopo un viaggiodi 48 ore (la neve che non c'è qui: era tutta a Francoforte e negli aeroporti americani, chiusi, che hanno causato ritardi a catena) ma con grande gioia. Fra le prime persone incontrate all'aeroporto di Vancouver Christian Neureuther e Rosi Mittermaier, vecchi colleghi in pista, ora come me genitori di un atleta che parteciperà ai Giochi.

Loro sono qua per turismo, io per lavoro, ma meglio per me,c'è gente che paga per venire a vedere le gare olimpiche, come quegli olandesi bloccati assieme a me un giorno in Germania che avevano speso 450 euro per un posto alla cerimonia di apertura, già iniziata quando finalmente sono arrivati a Vancouver...

Anch'io sono atterrata a cerimonia avviata: mentre Rogge chiedeva il minuto di silenzio per lo slittinista morto stavo ancora aspettando i bagagli, ignoravo quindi quanto era successo e l'ho ignorato fino almomento in cui, dopo le tre ore sul bus che mi ha portato da Vancouver a Whistler, ho acceso il pc e scoperto la tragedia. Possibile, mi sono chiesta, che nessuno me l'avesse detto? Possibile che nessuno si sentisse in dovere di mettere un cartello al centro di accoglienza dei giornalisti dell'aeroporto, o altrove? Possibile che i simpatici volontari (quanti figli di emigranti felici di incontrare noi italiani!) non abbiano detto una parola? Forse, anzi di sicuro, non sapevano nemmeno loro.

Del resto, dopo aver visto la parte finale della cerimonia, non devo stupirmi. Gli atleti che sfilavano con gioia non stavano certo pensando a quel povero ragazzo di 21 anni appena morto, chissà, forse anch'io trent'anni fa avrei fatto lo stesso, quando sei atleta non ti rendi conto di tante cose, non patisci per i drammi altrui, ti dispiace, certo, ma pensi a te stesso, ai tuoi problemi, alle tue gare. Ti senti importante, al centro del mondo, gli altri non esistono quasi.

È quando passi dall'altra parte della barricata che realizzi tante cose, una su tutte: gli atleti sono l'ultima ruota del carrozzone sport, sono i protagonisti in pista, nel campo, nello stadio, ma non negli intessi che ruotano attorno alle loro gare. Mi ricordo lo stupore quando scoprii che in certe località della coppa del mondo era previsto l'omaggio per i giornalisti. Zainetti, orologi, bottiglie, profumi, capi di abbigliamento… da atleta non avevo mai visto nulla, a volte nemmeno le divise arrivavano complete perché nel tragitto dall'azienda all'atleta spariva qualcosa che poi vedevi addosso a persone sconosciute, mogli di, nipoti di. Succede lo stesso anche oggi, ma gli atleti continuano a non capire e a non reagire. Così come non capiscono che a volte chi pensa alla loro sicurezza non lo fa sempre e solo nel loro interesse. Forse anche perché loro sono i primi a non preoccuparsi, si sentono invincibili, vogliono solo andare forte, sempre più forte.

Mia figlia Federica si innervosisce quando la stresso dicendole di stareattenta a questo e quello, di andare piano, di guardare sempre bene quello che c'è attorno alla pista… Lei non si può tirare indietro, se hai paura di farti male non devi fare l'atleta dice, e come darle torto? Le aziende continuano a sviluppare materiali sempre più veloci e precisi non pensando alle conseguenze che questi possono avere e gli atleti sono felici di avere sotto ai piedi o sotto alla schiena, è il caso degli slittinisti, attrezzi migliori.

E allora avanti così, «è lo sport» è il commento più gettonato quando qualcuno si famale, «è lo sport» è stata anche la frase più pronunciata ieri, a poche ore dalla morte di Nodar, vittima innocente di un ingranaggio infernale.

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